L’ex ministro dell’Interno Luciana Lamorgese lo aveva anticipato durante la sua visita a Reggio Calabria a fine maggio quando, in una conferenza stampa in prefettura, aveva annunciato che era stato disposto l’accesso al Comune di Cosoleto che ieri è stato sciolto per infiltrazioni mafiose dal Consiglio dei Ministri. Tutto nasce dall’inchiesta “Propaggine” contro la cosca Alvaro-Penna di Sinopoli. Il 10 maggio 2022 l’indagine della Dia, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, ha portato all’arresto di 34 persone tra cui il sindaco Antonino Gioffré accusato di scambio elettorale politico-mafioso. Secondo i pm, guidati dal procuratore Giovanni Bombardieri, gli interessi della cosca Alvaro-Penna si sarebbero estesi all’amministrazione locale. Dall’attività investigativa, infatti, era emerso un forte interesse dei sodali per la competizione elettorale del Comune di Cosoleto del 2018. Nell’ordinanza di custodia cautelare, firmata dal gip Angella Mennella, c’è scritto che “le elezioni amministrative del Comune di Cosoleto del giugno 2018 sono state pesantemente condizionate dalla cosca Alvaro in accordo con il sindaco uscente Antonino Gioffrè, poi nuovamente candidato ed eletto”. Nelle carte dell’inchiesta “Propaggine“, però, non c’era solo il controllo mafioso del voto, ma anche le parentele scomode di diversi amministratori locali. In particolare, il vicesindaco Giuseppe Modafferi è un “nipote di Antonio Alvaro detto ‘u massaru'”, il presidente del consiglio comunale Giuseppe Antonio Calvo ha “rapporti di frequentazione” con gli indagati Domenico Carzo, Antonino Rechichi e Ferdinando Ascrizzi. Assieme a quest’ultimo, invece, un altro assessore è “indagato per truffa aggravata ai danni dello Stato per assenteismo sul luogo di lavoro”.
L’indagine ha fotografato anche la campagna elettorale vinta da Gioffrè. Contro di lui, alle elezioni del 2018, si era candidato Giuseppe Casella che è “nipote di Antonio Carzo“, ritenuto esponente di spicco della cosca di Cosoleto. Lo zio boss, però, non sosteneva il parente il quale era stato “sollecitato” dalla famiglia mafiosa “a non candidarsi” in quanto ci sarebbe stato un “accordo elettorale politico mafioso stretto con Antonino Gioffrè, dietro la promessa del reperimento di posti di lavoro in favore di soggetti molto vicini a Carzo”. Sempre nell’ordinanza di arresto dello scorso maggio, infatti, il gip scriveva che “la contropartita per il sostegno elettorale si sarebbe dovuta sostanziare nel reperimento di un lavoro per Vincenzo Carzo, figlio di Antonio, e anche per Annunziata Maria Catena Modafferi, compagna del primo”. Per i pm, pochi mesi dopo le elezioni, Vincenzo Carzo è risultato idoneo nel bando regionale di servizio civile per l’attuazione della misura “garanzia giovani” denominato “Green Vision”. (ANSA).