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Mediterranea: ricerche scientifiche sulla domesticazione della vite

L'università reggina partecipa alla ricerca internazionale che, rintracciando il progenitore, può adattare le varietà ai cambiamenti climatici

di Helena Pedone

L’origine e la domesticazione della vite finora avvolta in un mistero di difficile decifrazione risalgono a circa 11 mila anni fa, grazie a due differenti eventi di domesticazione separati geograficamente circa 1.000 km, avvenuti in Asia occidentale e nella regione del Caucaso meridionale. E’ quanto riportato nell’ultimo numero della prestigiosa rivista Science da un gruppo internazionale di ricerca. Gli autori hanno condotto la più vasta analisi genetica mai condotta sulla vite, basata su circa 2.500 vitigni raccolti da ventitrè istituzioni in sedici nazioni del mondo, il cui DNA è stato interamente sequenziato.

La ricerca è stata guidata dall’Università di Yunnan (Cina), con la collaborazione italiana delle Università di Milano, Milano-Bicocca e Università Mediterranea di Reggio Calabria, e dell’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del CNR di Palermo. Gli autori afferenti all’Università di Reggio Calabria sono il prof. Francesco Sunseri, docente di genetica agraria ed il dottore di ricerca Francesco Mercati, ora ricercatore presso il CNR di Palermo, afferenti al Dipartimento di Agraria della Mediterranea.

Il risultato della ricerca dimostra che gli eventi di domesticazione della vite sono stati due, smentendo i lavori precedenti che indicavano un solo evento nel Caucaso. Secondo i ricercatori i due eventi sono avvenuti contemporaneamente, circa 11 mila anni fa, quindi in concomitanza con l’avvento dell’agricoltura e quattromila anni più tardi rispetto a quanto ritenuto in precedenza. Sebbene l’evento di domesticazione nel Caucaso meridionale sia anche associato alle prime vinificazioni (fonti storiografiche), la nascita del vino in Europa nasce dall’incrocio tra le viti selvatiche di questa Regione e le uve domesticate del Vicino Oriente, inizialmente utilizzate solo per il consumo fresco (uva da tavola).

Per arrivare a questi risultati, i ricercatori hanno sequenziato nel dettaglio il DNA del progenitore selvatico, comparandolo con il DNA dei 2.500 vitigni raccolti in tutto il mondo. In questo modo, gli autori hanno anche identificato alcuni geni, relativi a sapore, colore e consistenza dell’uva, che potrebbero aiutare i viticoltori a migliorare i loro prodotti e a rendere le varietà attuali più resistenti ai cambiamenti climatici.

Per fortuna, “il nostro studio ha dimostrato che esiste ancora una riserva di biodiversità nelle popolazioni di vite selvatica, della sottospecie sylvestris, ancora presenti in Italia ed in Calabria, non edibili ma preziose per la società moderna perché contengono geni che offrono resistenza alle malattie e ai cambiamenti climatici”, ha dichiarato Francesco Sunseri, coautore del nuovo studio e genetista agrario presso il Dipartimento di Agraria della Mediterranea.
Ma il nostro studio ha fornito soprattutto una svolta sorprendente sulla storia della domesticazione della vite, dimostrando che tale evento è avvenuto due volte”, prosegue Francesco Sunseri, entrambi gli eventi si sono verificati nello stesso periodo, uno nella regione del Caucaso, l’attuale Georgia, ed uno nell’Asia occidentale; l’evento del Caucaso sembra abbia dato origine ai primi vitigni da vino, mentre l’evento dell’Asia occidentale è stato utile a selezionare i primi vitigni da tavola”.

Questi ultimi si sono poi incrociati con viti selvatiche locali per selezionare i vitigni da vino più famosi d’Europa, compresa la Magna Grecia.
Infine, è stato dimostrato che l’aumento degli scambi commerciali hanno favorito il commercio di cultivar superiori tra le regioni euroasiatiche e ciò è risultato particolarmente evidente nelle cultivars italiane che condividono tre o più parentele genetiche con altre cultivars, ponendo le basi per uno studio definitivo della grande biodiversità vitivinicola italiana con la sfida a districare la storia genealogica di molte cultivar, peraltro già ben avviata in precedenti lavori degli stessi autori italiani.

Conclude il Rettore dell’Università Mediterranea, Prof. Giuseppe Zimbalatti  “Un altro importante risultato per il nostro Ateneo, sia per la pubblicazione sulla rivista Science, una delle due più importanti al mondo, ma anche e soprattutto per le novità scientifiche ivi riportate che potranno contribuire in particolare alla valorizzazione ed allo sviluppo della viticoltura mediterranea e calabrese

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