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Associazioni per la tutela del diritto all’alloggio si uniscono per scrivere una lettera aperta in sostegno delle donne vittime di violenza

E stato scritto un comunicato congiunto delle associazioni sulla tutela del diritto all'alloggio per le donne vittime di violenza

di Filippo Francesco Idone

Una donna maltrattata “costretta”, per mancanza di alternative, a vivere con i figli minori in un appartamento sottostante a quello dell’ex marito violento che la vittima aveva regolarmente denunciato. Una situazione di grave rischio che aveva portato i servizi a valutare l’allontanamento dei minori per assicurare loro adeguata protezione. Di questi giorni la situazione di cinque minori vittime di violenza assistita che si trovano a vivere con la madre in una sola stanza senza trovare, nemmeno dopo una estenuante ricerca,  disponibilità di qualche privato a dare in affitto  una abitazione. Un piccolo spaccato del nostro territorio  di una condizione in cui versano  in Italia ben 6 milioni 700mila donne e bambini  vittime di violenza tra le mura di casa, e se si confronta questo numero con la percentuale del (solo) 7%, che rappresenta la cifra di questi crimini che viene processata, si può facilmente comprendere come quello abitativo sia un problema molto sentito dalle donne vittime di maltrattamenti. Il primo febbraio del 2018 è stata pubblicata la legge n. 4, che statuisce che chi viene condannato per una serie di reati che rientrano nel più ampio genere di violenza familiare (quali incesto, maltrattamenti, omicidio, anche preterintenzionale, lesioni, sequestro di persona e violenza sessuale) decade dalla relativa assegnazione dell’alloggio di residenza pubblica. In tal caso, le altre persone conviventi non perdono il diritto di abitazione e subentrano nella titolarità del contratto. Ma altrettanto poco conosciuta e ancor meno applicata dai Comuni calabresi è la legge della regione Calabria n.20 del 2007.

L’art. 7 della suddetta legge che statuisce in tema di “assistenza alloggiativa garantita”, così testualmente recita: “I Comuni, al fine di garantire adeguata assistenza alloggiativa alle donne, unitamente ai loro figli minori, che vengono a trovarsi nella necessità, adeguatamente documentata dagli operatori dei Centri antiviolenza e/o dagli operatori comunali, di abbandonare il proprio ambiente familiare e abitativo, inquanto vittime di violenze e abusi sessuali fisici o psicologici e che si trovano nell’impossibilità di rientrare nell’abitazione originaria, si avvalgono della riserva degli alloggi di cui all’articolo 31 della legge regionale 25 novembre 1996, n. 32″.Purtroppo, però, nonostante una precisa disposizione di legge, i Comuni calabresi, in palese violazione della stessa, continuano ad ignorare il dettato normativo anche a fronte di segnalazioni di urgenza spesso segnalate dalle forze. È superfluo ribadire la gravità delle violazioni di quelle previsioni normative finalizzate a tutelare la posizione della vittima di reati endofamiliari, nonché a scongiurare irreparabili tragedie familiari.

Peraltro, le  conseguenze di questi  mancati  interventi hanno ricadute importanti non solo per le vittime di violenza, ma anche sotto il profilo del sistema di protezione e di accoglienza delle donne con il paradosso che  le case rifugio e le case accoglienza che ospitano nell’emergenza le donne maltrattate, non potendo in molti casi dimetterle per mancanza di soluzioni abitative, registrano spesso una situazione di esaurimento dei posti e l’impossibilità di potere procedere a nuove accoglienze. Inoltre si registra a carico della regione uno spreco di risorse economiche rilevantissimo. Serve quindi  una assunzione di responsabilità immediata da parte dei Sindaci che sono chiamati a provvedere anche attraverso l’utilizzo dei beni confiscati, che, si ricorda, sono a pieno titolo parte del patrimonio di edilizia residenziale del Comune e della regione che a oltre sedici anni dalla legge 20 sul contrasto alla violenza di genere non ha provveduto ad aggiornarla e soprattutto a  finanziarla .

I soggetti promotori di questa lettera di denuncia chiedono:

  • Ai Comuni calabresi tramite anche l’Anci, il rispetto delle vigenti disposizioni di legge assegnando in via d’urgenza, a seguito di provvedimento giudiziario e/o di pubblica sicurezza, alloggi disponibili del patrimonio edilizio, compresi i beni confiscati e sequestrati a nuclei familiari composti da donne che abbiano subito violenza.
  • Al Consiglio regionale della Calabria di adottare delle norme legislative che rafforzino questo diritto dando seguito alle proposte di legge presentate sul tema per garantire alle donne vittime di violenza dei percorsi di autonomia abitativa, lavorativa e sociale.
  • Alla Agenzia dei beni Confiscati di attivare un tavolo tecnico per affrontare questa criticità

Si chiede, inoltre, che i consigli degli ordini degli avvocati della regione, nonché le diverse associazioni che si occupano della difesa dei diritti civili, di valutare la possibilità di attivare servizi di assistenza legale per tutte quelle donne vittime di violenza che chiedono il riconoscimento dei diritti previsti dalle norme vigenti.

Le prime trenta organizzazioni  firmatarie

Centro Comunitario Agape, Piccola Opera Papa Giovanni, Comunità Progetto Sud, Consorzio Goel, Fondazione Roberta Lanzino, Forum regionale delle associazioni familiari, Libera Calabria, segreterie regionali Cisl e Cgil, Cereso, Comunità Competente, Legambiente,Centro Fabiana Mondi Diversi, Arci Calabria, Meic, Camera Minorile Reggio Calabria, Associazione regionale mediatori familiari, consorzio Macramè, ACE Medicina Sociale, UDI Reggio Calabria, associazione Nuova Solidarietà, Reggio nontace, Coop Soleinsieme, Il Samaritano Polistena,  CSI Reggio Calabria, Gruppo Marianella Garcia, coop Rose Blu Villa S. Giovanni, Centro Don Milani Gioiosa Ionica, Associazione San Pancrazio Cosenza, CIF casa Madonna di Lourdes

 

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