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Cranberries: piccolo recap per Dolores O’Riordan a 6 anni dalla scomparsa

La breve storia di una delle band più rappresentative degli anni 90’, a 6 anni dalla scomparsa della cantante Dolores O'Riordan

di Pierluigi Gabriele

Nei caotici e meravigliosi anni 90’, epoca conclusiva di un secolo alquanto tumultuoso ma ricco di sfaccettature irripetibili, la facevano da padrone band con un certo piglio artistico e culturale che esprimevano tutto il disagio di una generazione in cerca di sicurezze e smontata da una Società che stava prendendo una piega alquanto terrificante. Oltre al Grunge di Seattle però, anche dall’altra parte dell’Atlantico si svilupparono molte band che esprimevano in musica un disagio. Sulle coste della verde Irlanda, a Limerick, alla fine degli anni 80’ i fratelli Mike e Noel Hogan in pieno fervore giovanile formano una band, i “The Cranberry-Saw-Us” insieme a Fergal Patrick Lawler ed il cantante Niall Quinn.

In seguito però Quinn, primo vocalist della band, lascia e fa proprio il nome di quella magnifica personalità che sconvolgerà gli anni 90’: Dolores O’Riordan. La giovane di Ballybricken, cittadina a pochi km da Limerick impressiona positivamente i tre musicisti, e dopo un solo anno dalla fondazione, la band oltre che a cambiare vocalist, modificherà anche il nome in “Cranberries”. Così Mike, Noel, Fergal e Dolores cominciano la loro nuova avventura artistica esibendosi in piccoli locali nei dintorni di Limerick ed incidendo una demo dal titolo “Nothing left at all” che ebbe un inaspettato successo proprio nella loro città di appartenenza e nei paesi limitrofi.

Questo spinse la Island Records, etichetta di grande pregio che aveva tra l’altro nella sua scuderia gli U2, e che in passato aveva avuto tra i tanti Bob Marley e Nick Drake a fargli un contratto e nonostante un Ep ed il primo album “Everybody Else Is Doing It, So Why Can’t We?” il gruppo non ebbe il successo sperato, eppure già il loro primo lavoro conteneva pezzi di assoluto valore come “Linger” e “Dreams”. Paradossalmente furono si Stati Uniti a credere di più nella band, infatti nel 93’, quando i quattro ragazzi irlandesi andarono in tour come supporto agli Suede, il pubblico nordamericano apprezzò di più Dolores & co. facendo così rivalutare il gruppo anche al pubblico del Vecchio continente.

Ma la vera e propria consacrazione a band di culto si stava per realizzare con “No need to argue” del 94’, dove con 13 brani e con singoli indimenticati come “I can’t be with you”, la struggente “Ode to my family”, “Ridiculous thoughts” e soprattuto “Zombie” che parlava del sanguinoso conflitto tra Unionisti e Lealisti in Irlanda del Nord, la band esplose definitivamente. Se pensiamo che 30 anni fa, in piena epoca del supporto “fisico” riuscirono a vendere più di 16 milioni di copie, si capisce bene l’imprinting che i 4 ragazzi irlandesi donarono alla cultura musicale dell’epoca. Il tour mondiale che ne seguì fu favoloso e riuscirono a ritagliarsi anche un Unplugged per Mtv, che in quegli anni voleva dire tanto.

Ma molta notorietà chiaramente incluse una mole di stress ancora maggiore e la band diventò come una pentola a pressione che peggiorarono già all’epoca le condizioni di salute di Dolores, e costrinse i ragazzi a rinviare diverse date del tour del 96’ relative al terzo album  “To the Faithful Departed”. Il gruppo si congedò dal Ventesimo secolo con “Bury the hatchet”, album con singoli godibilissimi come “Animal instinct”, “Promises”, “You & me” e la speranzosa “Just my imagination”, che aveva in se delle contaminazioni più pop e meno cupe del resto dell’album. Dopo l’lp del 2001 “Wake Up and Smell the Coffee”, lavoro un po’ raffazzonato, la lunga pausa sino al 2012.

In questo arco di tempo Dolores si darà alla carriera solista, ottenendo un buon successo, ma l’amore per la band e gli amici di un tempo riemergeranno con “Roses” del 2012 e “Something else” del 2017 prima di quello che sarà l’ultimo album postumo “In the end” del 2019. Quest’ultimo lavoro scritto interamente da Dolores nel 2017, esprime tutto il disagio che la frontman affrontò negli anni precedenti, con problemi psicofisici ed il dolore per il divorzio dal compagno di una vita Don Burton. Ma nonostante tutto era chiara la voglia di ripartire con ottimismo per il futuro. A volte però come avrebbe detto John Lennon, anche lui vittima del destino: La vita è ciò che ti capita quando sei impegnato a fare altri programmi”.

Così la musicista e compositrice irlandese il 15 gennaio del 2018 se ne va per sempre, portandosi con se una intera generazione ed un’epoca dove ancora si poteva fare musica in un certo modo ed a certe condizioni, toccando temi importanti e soprattutto senza essere schiava delle major. Ma la sua arte e le emozioni che si sono propagate con la musica dei Cranberries, beh quelle rimangono, facendoci respirare una musica che oltre a ricordarci l’Isola di smeraldo ci fa rituffare in quelli che furono gli anni 90’. Per i vecchi e nuovi fans della band è d’obbligo recuperarsi “Beneath the Skin – Live in Paris”, un live che la band fece nella capitale francese nel 1999, e dove si respirava appieno lo spirito dei Cranberries, eterni cantori dell’irish rock.

 

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