E’ stato inoltrato al Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi il documento stilato dal Sindaco Maria Grazia Vittimberga poche ore dopo il naufragio dei migranti a Steccato di Cutro e modificato successivamente, con altre integrazioni, nel corso del Consiglio Comunale del 27 febbraio. Tra le modifiche anche la richiesta del consigliere Raffaele Gareri di realizzare un Centro studi territoriale che analizzi e coordini i flussi migratori. Poi ancora un’adeguata illuminazione e la realizzazione di un marciapiede sulla Strada Statale 106 dal Cara conduca al centro cittadino al fine di evitare episodi come quello del 25 febbraio che ha visto la morte di un giovane investito da un automobilista. Oggi, dopo averla inviata al Ministro, il Sindaco ha deciso di rendere pubblico il documento firmato dall’intera assise comunale con una serie di richieste al Governo:
Signor Ministro,
Oggi, dopo l’immane tragedia accaduta sulle nostre coste, s’impone una riflessione profonda su quella che dev’essere la risposta del nostro territorio al ripetersi di siffatti drammi legati al fenomeno dell’immigrazione. Questo nostro lembo di terra è ormai la porta a sud dell’Europa che fa da approdo a questi popoli sfortunati. Va da sé che la nostra posizione geografica ci fa vivere da decenni una perenne condizione d’incertezza dettata da una cronica carenza di risorse economiche e strutturali. Una mancanza di “visione prospettica” da parte soprattutto dell’Europa, oggi non è più accettabile né procrastinabile. Non possiamo limitarci alla pur lodevole accoglienza messa in campo da amministrazioni locali e da associazioni di volontariato. Serve un nuovo Umanesimo che rimetta al centro del sentire comune le persone e le loro necessità fondamentali.
Siamo stanchi di assistere inermi a queste scene strazianti che coinvolgono addirittura dei neonati. Per evitare ciò è necessario affrontare l’immigrazione non come un problema ma come una risorsa per il futuro di questa Nazione. A questo Governo chiediamo azioni concrete e continue nel tempo in sostegno delle realtà, come la nostra, che vivono continuamente l’emergenza dei flussi migratori e sono purtroppo destinate a fare da scenario ad altre tragedie come quella del 26 febbraio. Serve innanzitutto un Centro studi territoriale che analizzi e coordini i flussi migratori per evitare il ripetersi di simili sciagure. E’ necessario, ancora, dotare il territorio di Isola di Capo Rizzuto di un avamposto della Questura e di un centro di coordinamento interforze dedicato, una sorta di Coc che si attivi in occasione di sbarchi ed eventuali altre emergenze legate ai fenomeni migratori. Serve un’adeguata illuminazione sulla Strada Statale 106 che costeggia il Cara, pericolosamente percorsa da pedoni, ospiti del Centro di accoglienza, che gli automobilisti rischiano quotidianamente di travolgere, come è accaduto proprio poche ore prima del naufragio. A tutela della sicurezza di ospiti ed automobilisti, è necessario attrezzare il Cara con un percorso di collegamento con il centro urbano.
E poi bisogna pensare e non voltare le spalle a quanti sono tanto disperati da lasciare tutto e prendere il mare, su imbarcazioni fatiscenti, alla ricerca di un futuro per sé e per i propri figli. Bisogna pensare alla formazione ed alla collocazione di quanti fuggono da guerra e morte e realizzare centri culturali e luoghi di preghiera in cui aiutare questi nostri fratelli a costruire il proprio domani. E’ fondamentale l’integrazione con la popolazione di quanti restano sul nostro territorio: dobbiamo essere custodi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. Un’attenzione particolare va riservata, poi, ai minori non accompagnati, ai quali vanno garantite forme di sostegno e corridoi umanitari per il ricongiungimento con i familiari. La tragedia che in queste ore è sotto gli occhi di tutti noi impone riflessioni ed azioni concrete. Per uscire dalla crisi e dall’emergenza occorre elevare il livello della discussione: le questioni dei confini territoriali, signor Ministro, non possono prevalere sull’umanità. Così non è mai stato per noi, gente del Sud abituata a condividere il poco che ha, e non dovrà più esserlo anche per l’intero Paese e l’Europa tutta.