Clamorosa marcia indietro sul maxi procedimento della DDA di Reggio Calabria che, riunendo le inchieste “Mamma Santissima”, “Reghion“, “Fata Morgana” e “Sistema Reggio“, mirava a fare chiarezza su un presunto organo direttivo ‘ndranghetista che cercava di alterare “l’equilibrio degli organi costituzionali”.
La Corte di Cassazione, chiamata ad esprimersi per scelta di rito abbreviato, smentisce i provvedimenti e annulla le nove condanne stabilite da Tribunale e Corte d’Appello di Reggio Calabria nei primi due gradi del processo “Gotha“, e in particolare quella di 15 anni e 4 mesi di reclusione per l’avvocato Giorgio De Stefano, accusato dalla DDA di Reggio Calabria di far parte della componente “segreta o riservata” della ‘ndrangheta, nonché di essere a capo della cosca De Stefano di Archi.
La decisione, di fatto attuata dalla sentenza del 10 marzo scorso, riguarda tutti i fatti in cui G.D. è coinvolto, accaduti fino al 2005. Gli avvenimenti successivi, invece, sempre per disposizione della Cassazione, saranno oggetto di nuovo processo di secondo grado della Corte d’Appello cittadina in quanto non sarebbe possibile considerare l’imputato “colpevole anche per il periodo successivo al 2005 sulla base di condotte che si assumono rivelatrici della sua appartenenza alla componente segreta e che, tuttavia, essendo collocate nel periodo coperto da giudicato, non possono essere valutate a tale scopo”.
Altro importante passaggio nella decisione della Corte di Cassazione, il giudizio sul rapporto di De Stefano con Paolo Romeo, imputato con rito ordinario e condannato in primo grado a 25 anni di reclusione: i due, secondo l’accusa, erano i due “soggetti “cerniera” in grado di interagire tra l’ambito “visibile” e quello “occulto” dell’organizzazione”. Secondo la Cassazione, infatti, la sentenza di secondo grado non fornisce chiarimenti riguardo l’effettivo “contributo arrecato dal De Stefano quale componente della struttura invisibile della ‘ndrangheta unitaria. Per affermare la sussistenza della componente occulta della ‘ndrangheta i giudici di appello si sono basati anche su collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni risalgono ad un periodo anteriore al 2006”.
Inoltre, per la Cassazione sarebbero insussistenti anche le accuse relative alla conversazione tra i due imputati relativa alle elezioni regionali del 2010, dove “non si fa alcun accenno all’utilizzo di metodi mafiosi per influire sul voto o ad un intervento della ‘ndrangheta nella competizione elettorale. Il voler ravvisare in tale conversazione una elaborazione della strategia della ‘ndrangheta unitaria per influire sulla competizione elettorale regionale appare un’evidente forzatura logica”.