Nuovo appuntamento culturale organizzato dalla Fondazione “Italo Falcomatà” nel ventennale della sua nascita. E’ stato presentato il libro “Gli Aragonesi di Napoli”, edito da Rubbettino e scritto dallo storico reggino, Giuseppe Caridi. Nella sala “Gilda Trisolini” di Palazzo Alvaro, alla presenza di un pubblico numeroso e attento, la nuova iniziativa ha replicato il successo ottenuto dagli eventi organizzati nei mesi scorsi e che hanno posto al centro dell’attenzione i volumi “Polemos” di Gianfrancesco Turano e “Perché (non) andare a scuola” di Pierpaolo Perretti. Questa volta, il dibattito si è concentrato su un periodo storico ben limitato, magistralmente raccontato e descritto dal professore Caridi.
Al tavolo dei lavori, condotti dalla giornalista Ilda Tripodi, insieme all’autore ed alla presidente della Fondazione Falcomatà, Rosa Neto, erano presenti Carmelo Versace, sindaco metropolitano facente funzioni, José Gambino dell’Università di Messina, e Fabio Arichetta della Deputazione di Storia Patria per la Calabria.
«Particolarmente soddisfatta» si è detta la presidente Rosa Neto che, nell’aprire il confronto sulla dinastia degli Aragonesi nel Sud Italia negli ultimi decenni del ‘400, ha offerto un resoconto delle attività fin qui svolte dalla Fondazione e, nell’occasione, ha esaltato «l’opera descrittiva, puntuale e approfondita di Giuseppe Caridi che mette in luce le qualità dello storico, quali l’obiettività e la verità, “possesso per sempre” come afferma Tucidide, ma anche e soprattutto doti quali curiosità, umanità, etica e “mos maiorum”, che non risultano solo tipiche dello studioso del passato, ma innate in ognuno di noi».
«Le riconosciamo – ha spiegato – nella cura del confronto delle varie fonti sulla morte di Alfonso ed è bellissima l’umanità presente nel libro che prende forma nelle pagine in cui si descrive l’amore di Eleonora, madre premurosa e attenta, moglie di Ferdinando che dice al marito di non portare il figlio Alfonso, appena 13enne, alla guerra. Un racconto di amore materno autentico così come vero è l’innamoramento di Alfonso e Lucrezia; un amore che fa chiudere gli occhi al protagonista della storia». Poi, il “mos maiorum”, il nucleo della morale della civiltà romana da «individuare nella lettera che Federico, dall’esilio in Francia, scrive al al figlio Ferdinando». «Un testamento spirituale – ha affermato la presidente della Fondazione Falcomatà – in cui si raccomanda di non abbandonare gli studi, di essere sempre attento, paziente e coraggioso in politica. Insegnamenti validi ieri, oggi e per le generazioni future». Sono solo alcuni passaggi di un libro che, in conclusione, Rosa Neto invita a leggere perché «ci permette di conoscere e di conoscerci meglio».
Uno spunto raccolto dal sindaco facente funzioni, Carmelo Versace, che ha sottolineato «il valore della nostra memoria», riconoscendo «l’importante impronta culturale che la Fondazione “Falcomatà” ha impresso sul nostro territorio con l’ennesima opportunità offerta alla città che, in questo modo, può continuare a comprendere, pienamente, le proprie radici».
L’incontro è proseguito con il confronto a più voci che ha visto il prezioso e dotto contributo di Gambino e Arichetta, con il professore Caridi che ha ringraziato la Fondazione “Italo Falcomatà” per «aver organizzato un momento di approfondimento e conoscenza molto significativo».