(ANSA) – REGGIO CALABRIA, 05 DIC – La Corte d’Appello di Reggio Calabria, presieduta dal giudice Olga Tarzia, ha assolto con formula ampia il consigliere comunale Angela Marcianò nel processo “Miramare” in cui era imputata in qualità di ex assessore comunale. Al termine del rito abbreviato è stata così ribaltata la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Reggio Calabria che, nel luglio 2019, aveva condannato Marcianò a un anno di reclusione, con pena sospesa, per abuso d’ufficio e falso. Scontato il periodo di sospensione, in applicazione della legge Severino, nei mesi scorsi Angela Marcianò è tornata in Consiglio comunale essendo stata eletta alle amministrative del 2020 quando si candidò a sindaco e perse le elezioni contro Giuseppe Falcomatà. Quest’ultimo, assieme agli altri componenti della precedente giunta, si è fatto giudicare con il rito ordinario e il mese scorso è stato condannato dalla Corte d’Appello a un anno di carcere (con pena sospesa) per abuso d’ufficio in appello. Il processo è nato da un’inchiesta sulle irregolarità nelle procedure di affidamento ad un’associazione, che sarebbero avvenute senza bando, del Grand Hotel Miramare. Con una delibera di giunta, l’immobile era stato concesso all’associazione “Il sottoscala”, riconducibile all’imprenditore Paolo Zagarella. Al centro delle indagini, infatti c’erano i presunti rapporti tra Falcomatà e Zagarella che, in occasione delle elezioni comunali del 2014, aveva concesso gratuitamente al sindaco di Reggio Calabria alcuni locali di sua proprietà per ospitare la segreteria politica. Le irregolarità erano state segnalate anche da Marcianò, che all’epoca era assessore comunale. Era stata lei, infatti, a consegnare ai pm anche una serie di conversazioni, in chat, che hanno riscontrato la sua denuncia. Questo non le ha impedito di finire comunque sotto processo al termine del quale il giudice Olga Tarzia della Corte d’Appello ha accolto la tesi degli avvocati Renato Milasi e Diego Foti assolvendo Angela Marciano dal reato di abuso d’ufficio, con la formula “per non aver commesso il fatto”, e dal reato di falso, con la formula “perché il fatto non sussiste”. (ANSA).
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