Nomade per vocazione e irrequieto per temperamento, spostandosi da un continente all’altro, Peppe Voltarelli negli anni è diventato una sorta di ambasciatore della canzone d’autore nel mondo, con numerose tournées all’estero, dall’America Latina al Canada, innumerevoli partecipazioni a festival e rassegne e molteplici collaborazioni avviate nei luoghi in cui è stato, dalla Spagna al Cile, mentre i suoi dischi sono stati pubblicati in diversi paesi, dall’Argentina alla Francia, e spesso hanno scalato le classifiche di vendita, arrivando a volte anche ai primissimi posti. A conferma di questa vocazione internazionale, nel suo ultimo disco, Planetario, ha raccolto il fior fiore della canzone internazionale, da Jacques Brel a Bob Dylan, da Leo Ferré a Vysotskij, concedendosi anche degli emozionanti duetti con altri giganti del dire in musica come Joan Manuel Serrat, Adriana Varela, Silvio Rodríguez e Amancio Prada: un disco di grande fascino e bellezza in cui sono state condensate anche le esperienze maturate nel corso del suo continuo peregrinare in giro per il mondo.
Era, dunque, in qualche modo inevitabile che il suo nuovo disco di inediti, a circa otto anni dal precedente, si realizzasse in una koiné cosmopolita come New York dove un autore per antonomasia “glocale” porterà la forza e il temperamento delle sue radici, della sua storia e della sua lingua con l’orgoglio di un’appartenenza che non esita però a misurarsi con altre sonorità e ritmi, anche del tutto estranee alle rotte battute finora, in modo da estendere la portata del suo messaggio in musica. Da qui la scelta di registrare i nuovi brani a Manhattan, presso l’EastSide Sound Studios, affidandosi per il suono alla supervisione di Marc Urselli, che ha nel suo palmares ben tre Grammy Award e collaborazioni con autori del calibro di Nick Cave e Lou Reed, e, per la produzione artistica e gli arrangiamenti, a Simone Giuliani, che vanta diverse produzioni, da Bocelli alla London Simphony Orchestra. Internazionale anche la band formata da Davin Hoff (contrabasso), Jake Owen (chitarre), Stephane San Juan (batteria), Mauro Refosco (percussioni) e Simone Giuliani (pianoforte).
Per molti versi obbligato l’approdo alla “Grande Mela” per questa nuova produzione che si configura anche come uno sviluppo naturale di quanto fatto con gli ultimi due dischi, entrambi pubblicati da Squilibri e premiati con una Targa Tenco come miglior interprete. Nel primo album, Voltarelli canta Profazio, era urgente la necessità di fare ritorno a casa, riappropriarsi delle proprie radici, attraverso un omaggio all’esponente più emblematico di una tradizione contrassegnata da un richiamo fondamentale alla propria terra. Nel secondo album, Planetario, altrettanto forte l’esigenza di misurarsi con altri grandi della canzone internazionale senza rinunciare a nulla della propria storia e cultura, per cui puoi essere davvero cosmopolita solo se porti con te, in giro per il mondo, racchiuso nel fondo del tuo animo, il richiamo al tuo campanile. Questo terzo album dovrebbe segnare il passo successivo, vale a dire l’irruzione forte e impetuosa della propria storia e cultura nel cuore pulsante della contemporaneità per esprimere in musica l’orgoglio e la gioia di esserci.
Massimo il riserbo al momento sulle singole canzoni, ignote in gran parte anche allo stesso editore, e tutt’altro che scontata la veste finale che assumerà questa nuova produzione nella quale forse convergeranno le diverse anime di un artista poliedrico come Voltarelli capace di coinvolgenti narrazioni tanto in musica quanto in punta di penna. Quale che siano le decisioni finali, c’è da scomettere che l’ispirato cantore della Sibaritide sorprenderà di nuovo il suo pubblico.