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Shane MacGowan: la band irlandese cambiò il modo di concepire il Rock

Chi era Shane MacGowan, fondatore della band predestinata dalla nascita? E perché ha rappresentato tanto per la poetica contemporanea?

di Pierluigi Gabriele

Che cos’è che crea un’alchimia perfetta per creare un grande album o ancora meglio una grande band? Le risposte potrebbero essere migliaia e tutte giuste o sbagliate allo stesso tempo. È certo però che dalla sponda dell’Atlantico “staccata dal continente europeo” si misero in moto forze artistiche considerevoli. Se si potesse quantificare numericamente a quanto hanno dato alla musica Rock ed a tutte le due declinazioni, i popoli del Regno Unito e dell’Irlanda, beh rimarremmo a bocca aperta per la mole di band nate dagli anni 50’ ad oggi. Ma come spesso è accaduto nel Rock’n’roll, le contaminazioni hanno visto la luce per diversi incastri della sorte.

 

È così nasce una delle band più incredibili e uniche nel loro genere: I Pogues. Shane MacGowan cantante e fondatore della band già nella data di nascita aveva i numeri del predestinato. Nacque il giorno di Natale del 1957 nella cittadina inglese di Royal Tunbridge Wells, da genitori irlandesi originari della contea di Tipperary, ma all’età di 6 anni la famiglia lo portò a vivere a Londra. È proprio dalla capitale inglese che il da poco maggiorenne Shane cominciò ad appassionarsi al nascente Punk, assistendo nel 1976 ad un concerto dei Sex Pistols e cambiando la sua prospettiva di vita. In breve fondò una sua band, i “The Nipple Erectors” ed iniziò a fare insieme al suo gruppo da spalla a band già grandi come i Clash ed i Jam.

 

Proprio grazie a Joe Strummer (cantante dei Clash) ed alla sua contaminazione, Shane finalmente capì che poteva diventare un grande cantore di fine Ventesimo secolo, intessendo testi di una preziosa malinconia, ma anche a suo modo che trasudavano grandissima speranza. I Pogues vennero fondati ufficialmente nel 1981 ma non con questo nome, perché prima di giungervi MacGowan e la band ne vagliarono diversi, per poi giungere a “Pogue Mahone”. Quest’ultimo era la deformazione dell’espressione gaelica “póg mo thóin” che significa “baciami il sedere” e chiaramente venne censurato, così da rendere definitivo il nome della band proprio in “Pogues”.

 

Da lì fu tutto un divenire di successi, sia in patria che all’estero, con ben 7 album in studio e svariate collaborazioni con i più grandi della musica: Clash, Nick Cave, U2, Glen Hansard, Bruce Springsteen, Elvis Costello, ma anche una delle sue più care amiche: Sinead O’Connor. Chiunque sognerebbe un percorso artistico come quello di MacGowan, ma la sua vena autodistruttiva, insita in molte rockstar, come nei poeti e pittori del passato, porta Shane ad avere diversi problemi con l’alcool che ne debiliteranno fortemente il corpo ma non lo spirito, perché continuerà ad esibirsi sino al qualche anno fa, lasciandoci discograficamente come canto del cigno la magnifica esibizione live dei Pogues a Parigi nel 2012.

 

Ci sarebbe tanto altro ancora da dire di un un’artista a tutto tondo, un cantore malinconico che ha fatto dei propri sentimenti arte e lo hanno testimoniato anche i suoi funerali, dove moltissimi artisti, irlandesi e non gli hanno reso omaggio trasformando un’occasione funerea in un live in suo onore, con quel sapore nostalgico che solo il popolo irlandese tra sacro e profano riesce ad unire. Non ci resta che ricordarlo magari a pochi passi dal Natale con la sua “A fairytale of New York”, vero e proprio canto profano natalizio eseguito con la compianta Kirsty MacColl, che racconta le vicissitudini dei dimenticati, degli ultimi, in una cella della Grande mela, ma anche nella “Dirty old town” brano pescato dalla tradizione irlandese, che Shane fece suo, lui che aveva un viso vissuto anche a 20 anni e rappresentava quelle “facce di un tempo” quasi apotropaiche, che piacevano tanto al nostro Federico Fellini.

 

Insomma sia i Pogues che MacGowan sono e saranno ancora “materia viva” per moltissimi anni, un inno a chi combatte per qualcosa e soprattutto il racconto di un’epoca tanto meravigliosa quanto ingarbugliata e turbolenta, come quella del Punk e del post-punk e come un’irlandese abbia fatto modo che si unisse al rock classico ed alla musica tradizionale. Arrivederci Shane, ultimo Santo bevitore del Rock!.

 

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