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Emergenza Strutture Psichiatriche a Reggio, la rabbia d’un operatore in una lettera: “Non si può risparmiare sulle Disabilità!”

La rabbia in una lettera di Giuseppe Foti, operatore psichiatrico, su emergenza strutture e promesse disattese da un decennio della Regione

di Sebastiano Plutino

Continua a tenere banco in questi giorni la questione delle strutture psichiatriche di Reggio Calabria, tra rassicurazioni e promesse mai mantenute della Regione che da un decennio a questa parte disattende ogni impegno e si nasconde dietro tabelle numeriche che poco centrano con la disabilità ed i suoi bisogni.

Quel che è certo che i pazienti, le famiglie e gli operatori sono costantemente imprigionati in un “limbo” che può solo condurre al collasso dei servizi, allo spostamento dei pazienti chissà dove e per quale interesse e al licenziamento di 100 operatori che si occupano degli ultimi da oltre trent’anni. Divario tra l’abbondanza delle dichiarazioni e la povertà di risultati che vede chiamare in causa la legge Basaglia solo per coprire storture organizzative e nascondere vuoti abissali del governo e delle regioni.

Le vulnerabilità non si curano con i numeri (soprattutto non reali) e servono solo come immagine o per farsi dire dal governo centrale quanto sono stati bravi, dando un’apparenza di vincenti. Le mie parole possono sembrare dure…MA NON SI PUO’ RISPARMIARE SULLE DISABILITA’!

La cosa più preoccupante è il rischio di un ritorno ai manicomi e l’affermarsi di una visione classista e poco per mano di una società, sempre più spaventata da fatti di cronaca e dai media. Una certa politica, attenta agli umori popolari, si nutre di queste paure per avere consensi elettorali e per alzare la voce proponendo il nulla. La necessità è sempre quella: “trovare soluzioni facili a un problema complesso”.

Questa è tutta la drammaticità dei fatti a cui da cittadino e operatore non voglio sottomettermi in silenzio e in attesa di un inesorabile debacle che darà a Reggio Calabria l’ennesima sconfitta per mano di un boia in colletto bianco. Bisogna tornare ad interrogarci su cosa sia realmente necessario, tenendo conto l’aspetto umano che si sta abbandonando in una società sempre più discriminante e individualista. La Regione si limita a porre qualche toppa, ignorando le difficoltà più profonde che riguardano i pazienti, che poco contano, fatti alla mano, per la politica della cittadella.

Il risultato finale è un divario enorme tra persone perse nell’odio e nella rabbia indotta ad arte e persone definiti, ingiustamente, “socialmente inutili” e che con mano impietosa devono essere “spazzati”, “deportati” e allontanati dalla società finta perbenista a beneficio di lobby sanitarie, o amici degli amici, che speculano senza curare e solo per interesse economico.

Lo sappiamo tutti, non lo scopriamo adesso, che la disabilità psichiatrica è sempre stata considerata come un qualcosa che deve stare fuori e lontana dal tessuto sociale perché disturba la quiete pubblica. Le strutture psichiatriche, o meglio comunità, hanno sempre lavorato in controtendenza a questa mentalità stigmatizzante, cercando di valorizzare le capacità del singolo paziente e facendolo conoscere per quello che è effettivamente.  Queste realtà e questi metodi che guardano l’umano stanno per essere cancellati nel nome del risparmio e dell’indifferenza, non valutando che esistiamo in quanto responsabilità nei confronti dell’altro. In questa prospettiva di responsabilità si dovrebbe dirigere la politica che non deve basarsi su mezzi di convenienza e di immagine che sono mediocri e fragili.

L’impegno degli operatori, questo è ormai conclamato, non si fermerà davanti a scelte scellerate e senza senso, cercheremo in ogni modo di fermare chi ci impedirà di svolgere il nostro mandato nei confronti dei più deboli. Urge la necessità di entrare in uno spazio comune, passatemi il termine originario, dentro il quale c’è un noi che precede la differenza e la diffidenza di una società, culturalmente e politicamente, allo sbando e sempre in conflitto. Da questi principi e da ciò che sta succedendo nel mondo non possiamo permetterci di perdere realtà sociali che ancora si occupano di persone e danno risposte umane ai pazienti nella loro perdita esistenziale del mondo.

 

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