Guardateli, guardateli bene: sono volti tirati ma sorridenti, sono visi segnati dalla fatica e bagnati dal sudore ma sereni, sono facce stanche ma serene. No, scorrendo uno per uno i lineamenti di ogni singolo protagonista ritratto nell’immagine a corredo di queste riflessioni, non berrete il veleno della delusione, non respirerete il profumo aspro della frustrazione, non incrocerete sguardi persi nell’avvilimento.
La Domotek Volley Reggio Calabria, 24 ore prima prima, aveva stretto la mano, per la prima volta nella stagione, al manichino della sconfitta: una mano fredda, ma nessuno ha tirato indietro la propria. Non lo ha fatto perché è sempre stato il coraggio a tracciare la via di chi indossa quei colori, non lo ha fatto perché ognuno sa quanto la propria dose di audacia sia indispensabile per fortificare quella del compagno. Tutti, giocatori, staff tecnico, dirigenti, sanno di aver subito lo sgambetto dall’insuccesso per la più banale delle motivazioni legate allo sport: l’avversario, nel caso specifico la EnergyTime Spike Devils Campobasso ha giocato meglio, ha sfoderato una prestazione eccellente e, dunque, ha meritato di aggiudicarsi la semifinale di Coppa Italia che poi, sabato pomeriggio, ha alzato al cielo dentro il PalaUnimol del capoluogo molisano dopo aver piegato una intrepida Arno Volley. La Domotek Volley Reggio Calabria, proprio per il suo DNA da gruppo vincente, riconosce con facilità il merito altrui, rispetta con fedele devozione la dimostrazione dei meriti altrui. È questo il destino di chi non ha paura di caricarsi sulle spalle il fardello delle responsabilità e poco importa se queste spalle, agli occhi della normalità, possono apparire ancora gracili perché, in fondo, otto mesi addietro di questa società non esisteva nemmeno il nome.
Invece, eccoli lì, tutti stretti fianco a fianco, con una espressione che tradisce la brama di tornare subito in campo, di andare dritti, se possibile con ancora maggiore ferocia, a raccogliere i frutti che verranno. Frutti che non cadranno dall’albero della fortuna, frutti che avranno il gusto dolce del lavoro: quello che li ha condotti a raccogliere ovunque affermazioni piene per un semestre abbondante, quello che fa intuire loro cosa necessiti per soddisfare quella sete di ulteriore evoluzione. Saranno un paio, magari qualcosa in più, i match che decideranno le sorti della prima annata sportiva della Domotek Volley: un mese e mezzo da qui ad allora utile ad incrementare l’affiatamento con la vittoria. Quel manipolo immortalato nella fotografia, che comprende giocatori, staff e vertici del club, sta già nutrendo, in quel preciso istante, il medesimo pensiero: fissare il limite estremo delle potenzialità, individuali e di squadra, per riempire con gli arnesi dell’umiltà e della serietà, gli stessi impiegati sinora, il tratto mancante per guadagnare quel quid supplementare necessario a raggiungere altezze maggiori. Per avere contezza e certezza di come si dipaneranno gli eventi nelle settimane a venire tornate ad osservare quei volti, quei visi, quelle facce: noterete il temperamento di Capitan Laganà e Max Lopetrone, l’esuberanza di Fabio Giuliani e Fabio Remo, la matura consapevolezza di Totò Picardo ed Omar El Moudden, l’applicazione accurata di Federico Filianoti e Diego Vizzari, il rigore intriso di personalità di Maurizio Schifilliti e Stefano Remo, l’equilibrata limpidezza di Domenico Laurendi e Marco Sangregorio, lo spirito indomito di Peppe Boscaini ed Emanuele Renzo. Ma, a conferire un senso di ricchezza ancor più abbondante soffermatevi su quell’espressione effigiata da ottimismo e speranza che esibisce Gianluca Schipilliti. Nella delicatissima partita di Grottaglie, storia del 27 gennaio e match determinante per instradare la squadra verso l’epilogo del trofeo tricolore, è stato obbligato da un infortunio che lo terrà, solo apparentemente, lontano dai campi di gioco, ancora per un po’, ma lui non è mai stato in dubbio. Lui, a Campobasso, a dispetto delle condizioni fisiche, ci sarebbe stato. Altre sono le priorità al cospetto dell’obiettivo supremo: essere una squadra e fare squadra sono due concetti ben diversi. Un concetto che conoscono a menadito direttore generale e team manager, Marco Tullio Martino ed Enzio Corso, buttatisi a capofitto, con nobiltà d’animo e preparazione tecnica, all’inseguimento di una promessa ammirevole, distinta e distante dalle chimere vendute dagli illusionisti.
Una promessa che nei propositi decisi di Antonio Polimeni, il demiurgo alla guida di un team, dentro e fuori dal rettangolo di gioco, forte della saggezza e della dedizione di mister Franco Giglietta e mister Franco Giglio, rivela senza infingimenti: e a nulla vale che in quella istantanea, come in tutte le altre ritraenti i suoi ragazzi, troverete il coach sempre defilato, nascosto ad occupare la seconda e la terza fila, come un tifoso qualsiasi. Come chi sa quanto sia giusto che l’onere e l’onore di una vittoria per la quale sono stati sacrificati giorni e notti, accendano le luci della ribalta sui giocatori e su di essi debbano rimanere. Fino alla fine.