Nel suo intervento il sindaco metropolitano ha portato l’esempio di tentativi di conurbazione dei comuni reggini della Valle del Torbido che si è fermata alla gestione condivisa di alcuni servizi. Cosa che porta a interrogarsi sul perché sia così difficile la conurbazione. «Non banalizzerei con l’idea che sono i sindaci a non voler perdere una porzione di sua autorità e autorevolezza nel territorio – ha spiegato Falcomatà – non è giusto nei confronti di primi cittadini che amministrano territori e rappresentano l’intera comunità. Forse è più un problema di carattere culturale e di paura di perdita di identità piuttosto che di perdita di potere, connaturato alla storia del nostro Paese che nasce intorno ai Comuni e ai campanili. Non è un caso che in Italia ci siano 8.000 comuni: le comunità si costruiscono, nascono e si rafforzano intorno a un sentimento di identità. Ed è normale che quando si parla di fusione che poi porta alla perdita del nome, del simbolo, della storia si abbia paura. È la paura di svuotare il territorio, piccolo o grande che sia, della sua storia. Possiamo dare tutti i milioni che vogliamo ai comuni per incentivarli a fondersi, ma se continuiamo così significa che non abbiamo capito la storia del nostro Paese. Non è un caso che, negli ultimi 30 anni, i Comuni che si sono fusi in Italia sono stati duecento».
A fronte di queste riflessioni il sindaco metropolitano ha aggiunto: «Stiamo sbagliando qualcosa. Non si può prescindere dalla considerazione che i Comuni così come sono hanno bisogno di una riforma perché non stanno più in piedi. Abbiamo nella Città metropolitana ben 97 Comuni, e siamo la più piccola delle città metropolitane italiane, insieme a Torino e Bologna che ha il numero dei comuni più grandi, anche se pochissimi sopra i diecimila abitanti e tanti non riescono a far fronte alle esigenze minime dei cittadini».
Secondo il primo cittadino quindi «La fusione va normata, non facendo la suddivisione con la cartina geografica, andando a vedere le caratteristiche storiche, morfologiche, orografiche, naturali che possano accomunare un’area che non ha più senso che sia divisa in comuni piccoli. Non perché così è più forte politicamente, altrimenti non si scende dal “campanile” ma lo si rafforza, piuttosto perché così sarà possibile erogare meglio i servizi e migliorare la vita dei cittadini che è il compito di ogni sindaco e di ogni amministratore. Il percorso che dovremmo chiedere a livello regionale e nazionale è che i comuni sotto un certo numero di abitanti non possano più stare in piedi e che quindi entro un certo periodo arrivino a un percorso di fusione. Ma è un percorso che va normato perché se si lascia alla sensibilità di chi amministra in quel momento nei fatti non si farà. Ne è un esempio lampante la conurbazione dell’area dello Stretto».