Il suo ufficio all’interno del manicomio provinciale di Reggio Calabria con ampie e assolate finestre sul cortile. Il suo sorriso sempre accogliente e luminoso. La sua nuca mentre sovente è chino sulla sua macchina da scrivere. Sono solo alcuni degli “Scampoli e Fotogrammi”, come il titolo di una delle sue numerose e variegate pubblicazioni, ai quali si è dato vita nella piazza del Municipio di Gallina a Reggio Calabria in occasione dell’incontro “Giuseppe Marino, 100 anni di psicoscintille”.
Indimenticato medico psichiatra e uomo poliedrico e dai mille talenti, Giuseppe Marino è stato ricordato dal figlio Antonio, presidente della fondazione intitolata al padre, e da amici, nell’anno del centenario della sua nascita.
Attraverso ricordi e aneddoti personali e professionali, Giuseppe Marino (1924 – 2000) è stato raccontato durante una intensa e partecipata serata nella Gallina dove era cresciuto, con il compagno di scuola Agostino Morabito, presente all’evento, e tanti altri amici tra i quali il compare Carmelo Campolo. Tante le persone che di lui hanno conosciuto lo spessore umano nel campo medico, sociale e culturale.
L’evento, patrocinato dal Comune di Reggio Calabria, inserito nell’Estate reggina e promosso dalla fondazione Giuseppe Marino è stato impreziosito dalle letture di Annalisa D’Agostino, “nipote diletta” di Giuseppe Marino.
A scandire il racconto corale le musiche di Gino Mattiani, fisarmonica e tastiere, Alessandro Calcaramo, chitarra classica, Antonio Cilione, voce e mandolino, Raffaele Pizzonia, batteria set misto, e Sasà Filippone al basso. Un viaggio tra le canzoni a lui care, con un’accurata ricerca del suono.
In apertura un omaggio da parte del consigliere comunale Demetrio Marino alla fondazione Giuseppe Marino con la sollecitazione a proporre «alle scuole un laboratorio di teatro per far conoscere la sua figura». Invito rilanciato anche dall’eurodeputata Giuseppina Princi che ha sottolineato «la necessità di conoscenza di questa storia per arricchire e rafforzare il processo identitario della nostra terra».
Ad alternarsi, nella piazza vestita con gli arredi cari a Giuseppe Marino, con le poltrone del salotto in cui accoglieva i tanti amici, con il suo scrittoio e con le sue macchine da scrivere, Rocco Zoccali, Totò Nucera, Mimmo Nasone, Carmela Nesci, Antonio Morabito, Lorelay Rosita Borruto, Francesco Poto, Paolo Pecora, Giuseppe Moscato, Emilio Errigo, Santo Strati, Fortunato Marino, Candeloro Imbalzano e Carmelo Moscato, i nipoti Annalisa e Giuseppe. Avrebbe dovuto presenziare anche Tonino Monorchio, impossibilitato per motivi di salute sopravvenuti.
Il racconto è iniziato con l’amico fraterno Rocco Zoccali al quale Giuseppe Marino aveva affidato il figlio Antonio affinché ne facesse il medico psichiatra che poi è diventato. Tanti i capitoli di una storia che avrebbe meritato molto più tempo e che purtroppo non ha potuto avvalersi di altre autorevoli voci, come quella di Pasquino Crupi, mancato nel 2013, dell’altro amico fraterno Mimmo Tritoni.
Dotato di un grande capacità empatica, Giuseppe Marino trasfuse nei suoi scritti, poetici, narrativi, giornalistici e teatrali, uno su tutti “Io uno dei lager”, la sua visione di umanità sofferente da riscattare con un nuovo modo di intendere la sanità psichiatrica e un nuovo approccio a questa patologia così stigmatizzante. Approccio che perseguì negli anni in cui fu primario e poi direttore del manicomio provinciale di Reggio Calabria.
La sua opera medica fu coraggiosa, pionieristica e anche scomoda per un sistema sorretto sulla convinzione che la pazzia fosse da trattare con soli mezzi contenitivi e non anche curativi e sociali. Per Giuseppe Marino, invece, i malati psichiatrici erano innanzitutto persone. Con lui queste persone fecero esperienze fuori, furono portati in gita, ballarono, recitarono e cantarono.
Incontrarono i giovani volontari che, grazie a don Italo Calabrò, entravano in contatto con quella realtà che proprio don Italo riteneva «uno dei luoghi dai quali partire per avviare la rivoluzione e il cambiamento che in quegli anni di contestazione venivano reclamati».
L’umanità di Giuseppe Marino emergeva in ogni situazione personale e professionale perché «con tutti aveva un rapporto esclusivo». Una tensione morale e ideale che lo portò ad esprimere anche le idee più scomode attraverso l’alta parola poetica e la narrativa, non disdegnando di interpretate qualche ruolo al cinema. La sua scrittura fu anche orientata al teatro. Fu questa un’altra ventata di umanità che portò all’interno del manicomio.
Giuseppe Marino non prese mai la patente ma ciò non fermò il suo dinamismo nella sua vita di comunità e a Gallina dove fu direttore di Radio Gallina Sound «in cui ogni giovedì santo si trasmetteva solo musica classica». Sapeva coinvolgere anche i giovani perché «sapeva ascoltare e sapeva parlare alle persone». Una dote apprezzabile anche nella sua veste giornalistica, quando fondò La Città e Calabria Mondo, e nella sua dimensione politica quando divenne il primo presidente della circoscrizione di Gallina, fungendo da sintesi tra diverse le anime partitiche presenti. «Era un uomo di paese che conosceva bene la Città. Amava Gallina ma non si risparmiava per Reggio».
Tante le emozioni culminate nella testimonianza dei nipoti: Annalisa che giaceva «spesso sulle sue ginocchia ad ascoltare tante storie» e l’omonimo Giuseppe che non ha fatto in tempo a conoscerlo «ereditando però la passione per il cinema e per la scrittura cinematografica declinata nel genere horror psicologico». La serata si è infatti conclusa con la proiezione in anteprima assoluta del teaser del cortometraggio “Dolcetti” diretto dal giovane nipote Giuseppe Marino, ispirato al racconto del nonno “Matricidio a Pasqua”, interamente girato a Gallina anche nella clinica dove il nonno a lungo operò, con gli arredi originali del tempo.