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Orson Welles è il miglior regista di sempre?

Il 10 ottobre moriva ad Hollywood Orson Welles, uno dei registi più rivoluzionari di sempre

di Paolo Frascati

Esattamente 39 anni fa, il 10 ottobre 1985, nella sua amata e odiata Hollywood, moriva per arresto cardiaco Orson Welles, un rivoluzionario del cinema e regista statunitense dal talento sconfinato. Una carriera caratterizzata da opere geniali e controcorrente per l’epoca, che destarono scalpore e non vennero immediatamente apprezzate, spesso subendo interferenze da parte delle case di produzione e distribuzione, compromettendo il prodotto finale del regista.

Molto probabilmente, l’unico lavoro autentico e libero da interferenze dettate dai “piani alti” fu Quarto Potere (1941), uscito in sala il 1° maggio, il giorno dei lavoratori. Sarà stata una casualità, ma trovo molto calzante che un’opera di questo genere sia stata regalata al pubblico proprio in un giorno di festa, lontano dagli impegni morali dettati dal capitalismo, che Welles tanto odiava.

Quarto Potere è considerato uno dei migliori film della storia del cinema. L’American Film Institute, la rivista cinematografica Sight & Sound e la BBC lo hanno giudicato il miglior film statunitense di sempre. Il film narra la vita del magnate della stampa Charles Foster Kane (interpretato dallo stesso Welles), incapace di amare se non “alle sue condizioni”, con la conseguenza di creare il vuoto attorno a sé e rimanere solo nella sua gigantesca residenza, Xanadu (nella versione italiana, Candalù), dove muore abbandonato da tutti. Welles, servendosi di una sequenza di flashback (sei, compreso il cinegiornale), mostra i frammenti della vita del magnate, quasi fossero i pezzi di un gigantesco puzzle (rompicapo che appare metaforicamente più volte nel film). Allo spettatore è lasciato il compito di ricomporre, in tutta la sua complessità, la personalità di Charles Foster Kane.

Ma si tratta di uno sforzo vano, poiché i frammenti della vita di Kane non permettono di comprenderne l’intima essenza, se non a chi fu testimone dell’unico fatto di fondamentale importanza che determinò il trauma del protagonista: l’allontanamento dai genitori, voluto dalla madre, che lo affidò alla tutela di un uomo d’affari incaricato di amministrare la sua smisurata eredità. Kane, giovanissimo erede di una colossale fortuna, venne così strappato al suo mondo d’infanzia. Da adulto concepirà l’amore come possesso, non come dono, e ciò lo condurrà inesorabilmente alla disperazione e all’isolamento.

Un giornalista tenta di scoprire il motivo per cui Kane, sul letto di morte, abbia nominato “Rosebud”, tenendo in mano una sfera di neve. Questo diventa un vero e proprio McGuffin, un espediente narrativo che alla fine passa in secondo piano. Il vero fulcro della storia è scoprire quanto complessa e straordinaria fosse stata la vita di Kane, fatta di battaglie morali contro i poteri forti, contro il fascismo, ma anche di contraddizioni e traumi, che lo portarono a vivere i suoi ultimi anni in modo completamente opposto alla sua etica morale.

Quella di Welles è una figura inafferrabile, tanto nel film quanto nella sua vita personale. Come Kane, anche lui ha lottato contro il sistema, ma le sue battaglie non sempre hanno avuto un lieto fine. Eppure, la sua influenza sul cinema è stata innegabile. Welles ha rivoluzionato il modo di raccontare storie attraverso il cinema, sperimentando con la narrazione e la tecnica in un modo che ha ridefinito i confini del medium. Anche se la sua carriera fu spesso ostacolata dai produttori e dal sistema hollywoodiano, il suo lascito è immortale.

Oggi, a distanza di 39 anni dalla sua morte, ci resta una domanda: cosa avrebbe potuto ancora creare Welles se avesse avuto piena libertà artistica? La sua eredità continua a ispirare, ma rimane il rimpianto di un genio mai del tutto compreso.

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