Nella primavera del 1995 nacque, grazie ai registi danesi Thomas Vinterberg e Lars Von Trier, il Dogma 95, un manifesto ispirato inizialmente al saggio francese di François Truffaut “Une certaine tendance du cinéma français” pubblicato su Cahiers du cinéma.
Proprio in Francia, a Parigi, il manifesto danese venne presentato durante la conferenza Le cinéma vers son deuxième siècle. Il mondo del cinema si era riunito per celebrare il primo secolo della settima arte e contemplare il futuro incerto del cinema commerciale. Chiamato a parlare del futuro, Lars von Trier inondò il pubblico divertito con opuscoli rossi che annunciavano il “Dogma 95”. Il decalogo, al quale aderirono subito anche Søren Kragh-Jacobsen e Kristian Levring, è spesso definito anche con il significativo nome di “Voto di castità”, che evoca lo spirito del movimento, ed è stato stilato e firmato ufficialmente a Copenaghen, lunedì 13 marzo 1995.
L’obiettivo principale era quello di combattere le spese folli del nuovo cinema, ormai ricco di effetti speciali e investimenti miliardari. Le regole da seguire per raggiungere questo obiettivo furono espresse in un manifesto scritto:
1) Le riprese vanno girate sulle location. Non devono essere portate scenografie ed oggetti di scena (Se esistono delle necessità specifiche per la storia, va scelta una location adeguata alle esigenze).
2) Il suono non deve mai essere prodotto a parte dalle immagini e viceversa. (La musica non deve essere usata a meno che non sia presente quando il film viene girato).
3) La macchina da presa deve essere portata a mano. Ogni movimento o immobilità ottenibile con le riprese a mano è permesso. (Il film non deve svolgersi davanti alla macchina da presa; le riprese devono essere girate dove il film si svolge).
4) Il film deve essere a colori. Luci speciali non sono permesse. (Se c’è troppa poca luce per l’esposizione della scena, la scena va tagliata o si può fissare una sola luce alla macchina da presa stessa).
5) Lavori ottici e filtri non sono permessi.
6) Il film non deve contenere azione superficiale. (Omicidi, armi, etc. non devono accadere).
7) L’alienazione temporale e geografica non è permessa. (Questo per dire che il film ha luogo qui ed ora).
8) Non sono accettabili film di genere.
9) L’opera finale va trasferita su pellicola Academy 35mm, con il formato 4:3, non widescreen.
10) Il regista non deve essere accreditato.
Queste regole, che oggi potrebbero far storcere il naso a molti, rappresentarono allora un’ancora di salvezza per numerosi registi. Travolti da troppe possibilità, finivano per non concludere nulla, mentre con queste regole, paradossalmente restrittive, riuscivano a liberare la creatività. Lo stesso principio venne sperimentato in letteratura, con alcuni autori che si imponevano di scrivere opere utilizzando solo parole che iniziassero con la stessa lettera, per stimolare l’inventiva e superare l’asfissiante libertà creativa.
Il primo film Dogma fu Festen – Festa in famiglia di Vinterberg, uscito nel 1998. Un capolavoro acclamato dalla critica, vincitore del Premio della giuria al Festival di Cannes dello stesso anno. Anche Idioti di Lars von Trier fu presentato a Cannes lo stesso anno, ma ebbe meno successo, essendo un film leggermente più intellettuale e complesso da comprendere appieno.
Dopo l’uscita di questi due film, altri registi seguirono i principi del Dogma. Il franco-americano Jean-Marc Barr fu il primo non danese a dirigere un film secondo questi precetti. Il Dogma portò inoltre alla produzione di una grande quantità di cortometraggi, tra cui Valgaften di Anders Thomas Jensen, che vinse l’Oscar come miglior cortometraggio nel 1999.
Il movimento si sciolse ufficialmente nel 2005, e il 20 marzo di quell’anno, a Copenaghen, i registi firmarono il documento che sancì la fine del patto, dopo dieci anni in cui furono prodotti 35 film. Spesso questi vengono indicati semplicemente con un numero (Dogma 1, Dogma 2, ecc.) anziché con il titolo vero e proprio.
Dopo la fine del movimento, altri registi seguirono il decalogo, inserendo nel titolo dell’opera la numerazione crescente, come tributo a un movimento che, a differenza della Nouvelle Vague o del cinema futurista, rimase più in sordina ma ebbe un’importanza paragonabile.