Il Comando provinciale della Guardia di finanza di Reggio Calabria, con il supporto dello Scico di Roma, ha eseguito 20 provvedimenti di prevenzione patrimoniali dell’amministrazione giudiziaria e del controllo giudiziario nei confronti di altrettante imprese a rischio di infiltrazione della ‘ndrangheta, operanti nella provincia reggina.
Le imprese – il cui volume d’affari complessivo si aggira intorno ai 10 milioni – sono attive in diversi settori economici, dalla gestione di stabilimenti balneari alla commercializzazione di prodotti alimentari, dalla ristorazione al settore alberghiero, dalle costruzioni alla raccolta dei rifiuti.
I provvedimenti, emessi dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, costituiscono l’esito di attività istruttorie coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia diretta dal procuratore facente funzioni Giuseppe Lombardo.
L’applicazione di tali misure di prevenzione, spiegano gli investigatori, “alternative ai più radicali provvedimenti di sequestro e confisca, è finalizzata a garantire, da una parte, la libertà d’impresa e, dall’altra, il perseguimento e la salvaguardia della legalità delle medesime attività economiche. L’amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario, infatti, attraverso un’attività di ‘vigilanza preventiva’, mirano proprio alla ‘bonifica’ e al recupero delle imprese maggiormente esposte al rischio di asservimento alle attività illecite della criminalità organizzata, nell’ottica del loro successivo reinserimento nel tessuto economico legale”.
Nel caso delle 20 imprese, la Dda, sulla base degli elementi emersi nel corso delle dell’attività investigativa, ha rilevato la sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa. Le stesse aziende, in precedenza, erano state colpite da interdittive antimafia emesse dalla Prefettura.
Sulla base di quanto emerso dai riscontri eseguiti dai militari del Gruppo investigazione criminalità organizzata del Nucleo di polizia economico finanziaria di Reggio Calabria e dall’esame delle interdittive, la contaminazione, in alcuni casi, scaturiva dall’esistenza di rapporti di parentela dei titolari o degli amministratori delle aziende destinatarie dei provvedimenti con soggetti appartenenti a cosche mafiose.
In altri casi, l’infiltrazione derivava da condotte estorsive subite dagli imprenditori che si trovavano costretti a subire l’imposizione di forniture di beni e servizi dalle ditte riconducibili alla criminalità organizzata di tipo mafioso.
In altri casi, infine, l’inquinamento dell’attività economica scaturiva da contatti occasionali con esponenti della ‘ndrangheta al fine di ottenere favori o agevolazioni.
La sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria ha disposto quindi l’applicazione delle misure al fine di avviare un percorso di bonifica e di reinserimento delle imprese destinatarie nell’alveo dell’economia legale.