Di Simona Ambusto
Luci accese (anche in platea), un tavolino con un lumicino e una piccola pila di libri. Semplice e diretto come la sua scenografia “Mordere il cielo”, lo spettacolo del noto sociologo e psichiatra Paolo Crepet che trae il titolo dal suo ultimo libro, ha scaldato il pubblico del Teatro Cilea di Reggio Calabria.
Non cerca il consenso degli spettatori ma va dritto alle questioni che accendono lo scenario contemporaneo, dalla relazione genitori-figli, al cambiamento delle generazioni così come delle abitudini quotidiane, dettati dall’uso incontrollato della tecnologia che inevitabilmente si ripercuote sulla perdita di sensibilità fino a fiaccare la nostra tenacia nell’affrontare le difficoltà della vita. Finanche a scuola i genitori tendono ad essere iperprotettivi, oltrepassando ogni limite per sollevare i figli dalle naturali fatiche scolastiche. Dovremmo essere tutti “cacciatori di orizzonti”, oggi invece chi tende a cercare un momento di disconnessione “è matto (e dunque sano)”. La conversazione è spesso alternata dagli applausi del pubblico, che ne condivide la visione. E poi, come già anticipato nel corso dell’intervista a RadiosaMente ai microfoni di Radio e Video Touring, l’esortazione al pubblico: “siate eretici, cercatori di verità”.
Lo spettacolo, inserito nella rassegna di Officina dell’Arte di Peppe Piromalli, in collaborazione con Dedo Eventi di Alfredo De Luca, si è concluso con un inno alla vita nelle note di Mercedes Sosa in “Gracias a la vida”. L’invito suona come un ultimatum alle nostre coscienze: è tempo di tornare all’autenticità delle emozioni.