Home » L’indignazione nell’era di Videodrome

L’indignazione nell’era di Videodrome

In un'epoca dominata dall'indignazione immediata, il sensazionalismo dei media distorce la realtà, alimentando reazioni impulsive. Come in Videodrome, la ricerca di emozioni forti rischia di oscurare il vero significato della giustizia

di Paolo Frascati

La recente sentenza sull’omicidio di Giulia Cecchettin, in cui il colpevole, Filippo Turetta, è stato accusato di un omicidio senza “crudeltà” e con una motivazione legata alla “inesperienza”, ha suscitato una forte indignazione pubblica.
La reazione, soprattutto sui social e nei media, è stata immediata e spesso basata su emozioni forti, senza una reale comprensione dei dettagli giuridici del caso.
Ma questa indignazione, seppur comprensibile a livello umano, è davvero giustificata?

La parola crudeltà, nel linguaggio giuridico, ha un significato ben diverso rispetto all’uso comune che ne facciamo nel linguaggio quotidiano.
Quando sentiamo parlare di “crudeltà” in relazione a un omicidio, la nostra mente è inevitabilmente attratta dall’immagine di una sofferenza inflitta con premeditazione e intenzionalità. Tuttavia, nella legge, il concetto di “crudeltà” implica una serie di criteri specifici che non sempre corrispondono alla nostra percezione emotiva del crimine.
La sentenza, purtroppo, è stata fraintesa da molti, che hanno letto il verdetto come un’ingiustizia, non comprendendo la distinzione tra l’emozione umana e le necessità legali.

Turetta ha ottenuto il massimo della pena, segno che la giustizia ha preso atto della gravità dell’omicidio e della responsabilità dell’assassino.
Questa sentenza, peraltro, potrebbe segnare un punto di svolta importante nella lotta contro il femminicidio. Per la prima volta, infatti, il sistema giuridico sembra rifiutare la narrazione del “raptus di gelosia” e dell’omicidio passionale.
In passato, molti crimini simili sono stati giustificati con l’idea che il colpevole avesse agito sotto un’onda emotiva incontrollabile, una reazione impulsiva per amore o gelosia.
Ora, invece, la sentenza ha chiarito che la responsabilità di Turetta è totale, rifiutando ogni attenuante.

Il fenomeno dell’indignazione pubblica, che esplode rapidamente nei casi di crimini di questo tipo, è oggi alimentato da una cultura che spesso privilegia le reazioni emotive rispetto alla riflessione razionale.
La voglia di indignarsi per il gusto stesso di farlo è diventata una prassi, alimentata da una ricerca di sensazioni forti e immediate.
Questo meccanismo sociale è ormai tanto diffuso che non ci fermiamo più a riflettere, vomitando odio verso tutto e tutti senza una ricerca più profonda.

Ma la responsabilità di questa ondata di indignazione va cercata anche nei media e nei mezzi di informazione, che hanno una parte fondamentale nel costruire il clima emotivo che circonda certi casi.
Spesso, i giornali, i programmi televisivi e i social media tendono a semplificare e a drammatizzare i fatti, alimentando la rabbia e la frustrazione del pubblico senza fornire una comprensione completa delle circostanze.
Le notizie vengono presentate con titoli sensazionalistici, pronti a scatenare una reazione immediata, ma raramente vengono esplorati i dettagli più profondi o le motivazioni giuridiche che sottendono una sentenza.

In questo contesto, i media non solo amplificano l’indignazione, ma contribuiscono anche a distorcere la percezione che il pubblico ha della giustizia.
Il “clickbait” e la ricerca del sensazionalismo sono diventati parte integrante del nostro consumo mediatico, che è orientat solo alla reazione immediata, al “dramma”, al conflitto.

A questo punto, è utile guardare a Videodrome, film capolavoro di David Cronenberg, che affronta temi di eccitazione, violenza, tecnologia e superficialità.

Nel film, Nicky (Debbie Harry) descrive come l’umanità stia cercando costantemente emozioni sempre più forti, ma sempre più disilluse.
La sua riflessione sul fatto che la nostra società abbia smesso di ricercare emozioni “autentiche”, preferendo invece l’eccitazione per l’eccitazione stessa, è estremamente pertinente in questo contesto.


Così come Videodrome ci avverte della pericolosità di una società che cerca il piacere facile e immediato a scapito della profondità, anche l’indignazione pubblica che esplode senza cognizione di causa può essere altrettanto pericolosa.
Siamo pronti a saltare alla conclusione che la giustizia sia stata travisata alimentando lotte di qualsiasi tipo quando invece in casi come questi la cosa più importante dovrebbe essere l’unione.
La sentenza nel caso di Turetta potrebbe non piacere, ma è il risultato di una riflessione giuridica che ha preso in considerazione le circostanze specifiche del crimine.
La ricerca di emozioni forti, come quella descritta in Videodrome, è una manifestazione di una cultura che ormai preferisce l’eccitazione all’autentica comprensione ma solo prendendoci il tempo di riflettere con attenzione e distinguere emozione e giustizia potremo sperare di costruire una società che sappia affrontare le difficoltà con maggiore lucidità e consapevolezza.

Potrebbe interessarti: