Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta dell’operatore psichiatrico Giuseppe Foti su un tema delicato, quale la Disabilità: “Ci si commuove facilmente, soprattutto quando ci viene raccontata come una sfida personale, una battaglia quotidiana, una storia “che scalda il cuore”. Ma dopo l’applauso, cosa resta? Poco. E troppo spesso niente cambia davvero, né per chi vive la disabilità né per la società tutta.
Perché no, non basta una pacca sulla spalla.
Serve un cambio di passo culturale e civile. Serve uscire dalla logica dell’eroe fragile da compatire. Serve cominciare a parlare, finalmente, di diritti, accesso, potere di scelta.
In una terra come la nostra, la Calabria, la disabilità è ancora troppo spesso
una questione trattata nei corridoi delle Asp, nei bilanci sociali dei Comuni, o peggio, negli uffici dei patronati.
Una voce da contabilizzare, non da valorizzare.
Mentre i partiti e le correnti si sfidano in un gioco infinito di nomine, sostituzioni e sedie che cambiano, chi ha una disabilità resta a terra. Letteralmente: tra strade impraticabili, scuole inaccessibili, servizi interrotti, assistenza negata o appaltata in ritardo.
Le leggi ci sono, i fondi anche. Ma mancano la visione e la volontà politica di costruire una società realmente inclusiva (termine usato solo come “brand” politico per le elezioni). Perché quando la priorità è la sopravvivenza delle poltrone, i diritti diventano fastidi burocratici da rinviare.
Chi vive con una disabilità non è un “povero da compatire o da aiutare”, ma un cittadino con la stessa dignità di tutti. Questo significa che deve poter scegliere come vivere, avere un lavoro, andare a scuola, accedere alla cultura, muoversi, progettare il proprio futuro. non chiedono privilegi, ma giustizia. E invece, anche in Calabria, continuano a essere visti attraverso il filtro della malattia, non della partecipazione.
Assistenzialismo e pietismo non servono. Serve responsabilità politica, continuità nei servizi, ascolto reale dei territori e delle persone.
In Calabria si parla tanto di giovani, ma pochi investono davvero nella formazione civica, inclusione e consapevolezza. Eppure è da lì che si deve cominciare. Nelle scuole. Dove parlare di disabilità non come limite ma come condizione di cittadinanza. Dove i bambini possano crescere fianco a fianco, imparando che la diversità non è un problema, ma una risorsa collettiva.
Educare significa prevenire la marginalizzazione. Significa costruire una generazione che non si accontenta delle “giornate per”, ma chiede azioni vere, inclusive, visibili. Anche in Calabria.
In una regione come la nostra, dove la politica cambia faccia ma non sostanza, è tempo che i cittadini alzino l’asticella. Basta tollerare i piani sociali scritti senza confronto, fondi europei non spesi, servizi interrotti e annunci senza seguito o poltrone abbandonate per comodo.
È il momento di chiedere il conto. Di fare “pelo e contropelo” a ogni amministrazione, assessore, dirigente.
Chi governa, a tutti i livelli, non può continuare a usare la disabilità per i comunicati stampa, senza mai ascoltare davvero le famiglie, gli operatori, le persone. La disabilità non è un tema da relegare all’ultima delega disponibile, ma un indicatore preciso della qualità democratica di un territorio.
La Calabria deve pretendere di più. Non bastano i proclami. Non bastano i sorrisi in conferenza stampa. Serve una comunità viva, informata, che non abbassi la testa. Che pretenda servizi funzionanti, scuole aperte, dignità per tutte le vite.
Serve una cultura dei diritti, non dell’elemosina. Serve il coraggio di dire che nessuno è libero finché qualcuno è escluso.
Non basta una pacca sulla spalla. Serve presenza, controllo, consapevolezza. Serve un popolo che guarda in faccia chi governa e dice, con fermezza: ora basta!”, scrive l’operatore psichiatrico Foti