Il Comando Provinciale della Guardia di finanza di Reggio Calabria ha dato esecuzione a una sentenza emessa dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, divenuta irrevocabile a seguito di pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, con la quale è stata disposta la confisca definitiva di beni, per un valore complessivo di oltre 21 milioni di euro, nei confronti di appartenenti a un gruppo imprenditoriale reggino contiguo alla ‘ndrangheta.
Tale provvedimento ablativo porta definitivamente a conclusione l’istruttoria che, già nel 2020, aveva condotto a un primo sequestro patrimoniale disposto dal Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Misure di prevenzione, su proposta della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, sulla scorta di quanto riscontrato nell’ambito di apposita attività d’indagine del Gruppo della Guardia di Finanza di Reggio Calabria e nel corso dell’operazione “Heliantus” (eseguita sempre nel 2020).
In particolare, la definitiva confisca odierna si basa su risultanze investigative che hanno fatto emergere la contiguità del citato gruppo imprenditoriale soprattutto con la cosca Labate, operando nel settore del noleggio di slot machines, degli strumenti per la pratica di giochi on-line e della gestione dei centri di raccolta scommesse.
Più nel dettaglio, la compagine aziendale in parola, venendo a patti con la citata consorteria criminale, si è imposta sul territorio in posizione dominante, sfruttando la protezione di quest’ultimo sodalizio per affermare l’attività imprenditoriale nel settore di mercato di elezione, così incrementando a dismisura i profitti.
E ciò – allo stato del procedimento penale ancora in corso e, quindi, fatte salve le successive valutazioni in merito all’effettivo e definitivo accertamento delle responsabilità penali – anche ponendo in essere, nel contempo, ulteriori condotte delittuose nella gestione delle società, quali la concessione abusiva di linee di credito ai clienti, l’esercizio del gioco illegale e le estorsioni aggravate dal metodo mafioso (come nel caso in cui, nel 2012, era stata messa una “bombetta” per costringere un debitore a onorare un pagamento di 60 mila euro).