La Rivolta di Reggio rappresenta il più vasto moto popolare della storia repubblicana italiana, la prima Rivolta ”identitaria” d’Europa. Tutto ebbe inizio il 14 luglio 1970, in occasione del primo sciopero generale indetto per contestare la decisione del governo che indicava Catanzaro quale capoluogo della Calabria e, durò con varia intensità, fino al settembre 1971, con strascichi che arrivarono al 1973, ma le sue conseguenze si protrassero per molto tempo e arrivano ancora ai giorni nostri.
Il motivo scatenante della Rivolta fu solo in apparenza la sottrazione del capoluogo, tuttavia le ragioni non possono essere ridotte ad una semplice questione campanilistica o, come si disse, di “pennacchio”. Ciò che la città rivendicava era considerato un diritto inalienabile, che derivava da una storia millenaria, consapevole che il rischio era quello di perdere l’ultimo treno in direzione dello sviluppo.
Nelle piazze e nelle strade, scese gente di diverso strato sociale che lottò compatta per rivendicare un diritto, per denunciare un sopruso. Una straordinaria esperienza mai più ripetuta in alcun paese delle democrazie occidentali, l’esperienza di un Popolo che non si arrese, che non si rassegnò, ma che lottò per la giustizia sociale, per il proprio diritto al futuro, e che per questo, pagò un prezzo altissimo.
Al grido di dolore di una comunità intera la risposta dello Stato non fu all’altezza e si misurò solo sul piano repressivo e sulle vaghe promesse di posti di lavoro, peraltro successivamente mai mantenute. Per contrastare i manifestanti e per avere la meglio su dei cittadini arrabbiati che tiravano pietre con le fionde, si optò per la soluzione militare, insistentemente richiesta in Parlamento dai partiti della sinistra, facendo confluire a Reggio un numero impressionante di forze dell’ordine. L’ingresso in città il 18 febbraio 1971 dei mezzi blindati M113 del battaglione mobile dei carabinieri e dei carri armati Sherman dell’esercito (primo ed unico caso nell’Italia repubblicana del dopoguerra), se da una parte fiaccarono la resistenza e il morale dei rivoltosi, dall’altra compromisero per lungo tempo la fiducia dei cittadini nei confronti dell’autorità costituita.
Quindi, nel momento cruciale, quando partiti, sindacati, organizzazioni ed associazioni si defilarono, i reggini trovarono come loro unico interlocutore Ciccio Franco, esponente del Movimento Sociale Italiano e sindacalista della CISNAL, ma in realtà prima di tutto reggino tra i reggini. Franco, unitamente a molti missini quali Fortunato Aloi, Angelo Calafiore, Antonio Dieni, William D’Alessandro, Pietro Gatto, Renato Meduri, Rosetta Zoccali e tanti altri, costituisce il Comitato d’Azione per Reggio Capoluogo, con cui prese saldamente le redini delle iniziative politiche e delle manifestazioni di protesta.
Anche molte altre personalità, non di destra o missine sposarono personalmente e apertamente senza condizioni la causa della Rivolta. Fra questi il prof. Giuseppe Reale, l’armatore Amedeo Matacena sr, l’industriale del caffè Demetrio Mauro, l’ex comandante partigiano Alfredo Perna, il prof. Franco Arillotta, il medico Rosario Cassone, il “comunista ribelle” Biagio Canale, l’avv. Pietro Marrapodi, l’ing. Eugenio Castellani, il prof. Giuseppe Lupis, il duca Giuseppe Avarna.
La Chiesa Reggina, con in testa il suo Pastore, Mons. Giovanni Ferro, si adoperò molto per cercare di alleviare le sofferenze dei cittadini e di calmare gli animi dei più esagitati. L’Arcivescovo, unitamente a tanti parroci della curia reggina (che nel futuro lasceranno una traccia indelebile nelle pagine di storia della città) tra cui don Italo Calabrò, don Giuseppe Agostino don Salvatore Nunnari, don. Giorgio Costantino, don Mimmo Geraci, don Giuseppe Pensabene, don Gregorio Alampi, don Giovanni Laganà, svolsero anche nei momenti più difficili e cruenti, una delicata e fondamentale opera di mediazione e di dialogo, rimanendo sempre un punto di riferimento costante per tutti. Questa sua vicinanza ai reggini in protesta, costò a Mons. Ferro feroci critiche ed accuse da parte di alcuni esponenti della sinistra, che chiesero apertamente il suo arresto.
Mai come in questi tempi attuali, in cui prevalgono sentimenti di rassegnazione, menefreghismo e di antipolitica, il messaggio della Rivolta, l’esempio di Ciccio Franco, di Mons. Ferro, delle migliaia di reggini partecipanti ai Moti e il sacrificio dei Martiri, devono essere da monito ai cittadini di oggi.
Anche in occasione di questo 53° anniversario, come oramai avviene da molti anni, il Comitato 14 luglio chiede che siano dedicati ai Martiri della Rivolta i luoghi in cui essi caddero: Via Logoteta, dove il 15 luglio 1970 fu ritrovato agonizzante il ferroviere Bruno Labate; lo slargo del Rione Ferrovieri dove il 17 settembre 1970 fu ucciso l’autista Angelo Campanella; la parte del Calopinace dove il 17 settembre 1971 morì il banconista Carmine Jaconis.
INFINE, IL COMITATO, CUI ADERISCONO I CIRCOLI DI FRATELLI D’ITALIA “Antonio e Ciccio Franco”, “Atreju” ed “Eracle”; IL CENTRO STUDI TRADIZIONE PARTECIPAZIONE; FIAMMA TRICOLORE; GIOVENTU’ NAZIONALE; NUOVO FRONTE POLITICO; REGGIO FUTURA; STANZA 101; COMUNICA LE INIZIATIVE PREVISTE PER RICORDARE I CADUTI E IL LEADER DELLA RIVOLTA, PREVISTE PER VENERDI’ 14 LUGLIO:
ORE 17,30 – DEPOSIZIONE OMAGGIO FLOREALE PRESSO IL MONUMENTO AI MOTI DI REGGIO
ORE 17,45 – DEPOSIZIONE OMAGGIO FLOREALE PRESSO LA STELE DEDICATA AL SEN, CICCIO FRANCO
ORE 18,00 – LIDO PEPYS – A CURA DEL CENTRO STUDI TRADIZIONE PARTECIPAZIONE E REGGIO FUTURA – CONVEGNO: “La Rivolta di un Popolo, l’Identità di una Città”.