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Saverio Pazzano puntualizza: “Sul dimensionamento scolastico, Reggio abbia un sussulto di dignità”

Il movimento La Strada, con l'esponente Saverio Pazzano, parla del dimensionamento scolastico di Reggio Calabria

di Filippo Francesco Idone

Chi vuole vedere quale idea d’Italia il Governo intenda realizzare con l’autonomia differenziata non ha che da vedere la mannaia del dimensionamento scolastico che immiserisce e penalizza i territori del Sud. Chi vuole vedere come l’accoglienza coloniale degli ordini da Roma mortifichi la Calabria non ha che da vedere come la finanziaria 2023 del Governo sia stata recepita in materia di scuola. Chi vuole vedere come la città di Reggio Calabria sarà penalizzata e resa irrilevante dal piano di dimensionamento scolastico regionale non ha che da aspettare qualche giorno. Poi le responsabilità saranno rimpallate con cori di “non potevamo fare altrimenti” e rimbalzi di gerarchie da Comune a Città Metropolitana a Regione e viceversa.

È la concezione di scuola alla base delle scelte che va, innanzitutto, contestata fermamente. La scuola non è un costo, non è un servizio che va tagliato, mai!, non è un conto che deve tornare, non è la somma di un numero di alunni. È una lezione che si conosce bene, quando nei convegni si parla di scuola come presidio di legalità, formazione, diritti, eccetera eccetera. Ma alla fine dei giochi il problema è che la coperta è corta e da qualche parte si deve tirare. Si tira sulle regioni del Sud, dove il taglio delle scuole cade su territori mal serviti dalla mobilità, su famiglie che già conoscono il gravame della dispersione scolastica, su aree che già conoscono la desertificazione dei giovani, su persone che già conoscono il niente dei servizi essenziali.

Per la città di Reggio, per la sua area metropolitana, ciò è amplificato, vivo, presente. Il taglio che deriverà dal dimensionamento lascerà territori privi di scuole, consegnerà al personale scolastico e alle famiglie il peso di doversi districare tra plessi molto distanti tra di loro, imporrà perdita di posti di lavoro e nuovi insegnanti partiranno a fare cultura nelle regioni del Nord. Questo accade per l’inviolabile legge dei numeri. Chi non ha “i numeri deve essere accorpato”. Ma è ben strano che i numeri si applichino quando si tratta di chiudere scuole e non quando si tratta di porre un tetto al numero massimo di iscritti: cosa che consentirebbe – contro la logica aziendalista e performativa che sottende ormai l’idea di scuola – di aprire istituti e indirizzi di studio in aree oggi dimenticate e di garantire un servizio più peculiare sul territorio, più efficace nel rapporto con gli allievi e con i territori. Ma poi, i numeri delle scuole ci appassionano tanto? E come si rapportano queste con il criterio di salvare le aree interne, soprattutto in un territorio come quello di Reggio Calabria che è fatto di relazione tra la costa e le aree interne? Pensiamo alla distanza che corre tra la Via Marina e Santa Venere, ad esempio, e alla pessima mobilità che le collega.

L’accorpamento che si chiede al territorio di Reggio Calabria è una guerra tra poveri, e, pertanto, purtroppo, destinata ad avere successo. Eppure ci sarebbe la possibilità, anche attraverso le speciali misure destinate ai territori interessati alle minoranze linguistiche, di salvare l’autonomia di buona parte delle scuole e di costruire diversamente per gli anni a venire.
È una battaglia che bisognava combattere prima e le forze progressiste della città avrebbero dovuto cogliere l’occasione per porre la questione e farne una battaglia di senso come per il taglio degli ospedali o l’agonia dell’Aeroporto. Anche questa è assenza della Politica, anche in questo il Comune ha dimostrato il fiato corto di chi non riesce a star dietro all’ordinario. Ma il vero problema non è questo, al massimo una semplice constatazione, quanto la partita che si gioca sulla pelle della città di Reggio e che porterà ad un depauperamento ulteriore del suo tessuto culturale e sociale.

Crediamo si sarebbe dovuto ragionare con i territori, avere il coraggio politico di porre la questione della peculiarità e dei bisogni del territorio, di utilizzare le opportunità consentite alle aree interessate alle minoranze linguistiche, regolare il tetto massimo di alunni per istituto e non solo il tetto minimo. Utilizzare il quadro normativo in modo utile e non penalizzante per Reggio e la sua area metropolitana. Misure di visione e coraggiose, che magari la Regione potrebbe bocciare – magari potrebbe anche imporre un commissariamento – ma se ne prenderebbe tutta la responsabilità. La Politica è anche fatta di questa dialettica. Altrimenti è solo burocrazia.

Su questi temi, in questi giorni, diverse altre Regioni hanno impugnato gli atti del governo e diverse migliaia di studenti e docenti scendono in strada da Catanzaro a Cosenza. Sul tema a Reggio solo qualche sussulto. Ma è proprio Reggo la città più penalizzata! È il segno di un’area rassegnata e stanca. Ma invece questa della scuola e del dimensionamento è la questione destinata a cambiare il futuro della città nei prossimi anni. Tra qualche giorno, se la Politica della città e del territorio metropolitano non potranno porsi ad argine di scelte regionali che puntano a rendere irrilevanti Reggio e l’area metropolitana, accadrà che piangeremo la fine di diverse scuole e la chiusura di presidi essenziali nei territori. “Quando il morto piange, è segno che gli dispiace a morire”, si legge in Pinocchio. Un capolavoro che in una scuola che chiude non si potrà più leggere.

 

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