“C’è una città che guarda indietro per restare indietro. È, insieme, un fatto anagrafico e un fatto culturale. Reggio diventa vecchia, i giovani vanno via in percentuali sempre maggiori, la fascia anagrafica tra i 20 e i 40 anni è ridotta all’osso. Risposta: ci si chiude e si guarda indietro, se non hai un ruolo, un potere: c’è stata un’epoca felice, prima, lo pensano tutte le società agonizzanti e non è una novità; se invece un ruolo ce l’hai, qualunque esso sia, coltivi il tuo cortile per cementare i piccoli privilegi, per non perderne neppure uno. Alla politica chiedi che le cose cambino, purché il cambiamento non tocchi te. Questa è una palude.
C’è poi una città che è rimasta al 1970. Catanzaro ci ha rubato il capoluogo, Cosenza si è fregata l’università, i soldi e gli investimenti la Regione li porta tutti lì: sono contro di noi, mai nessuno che pensa a Reggio. Che, del resto, non ha mai venduto grano. Questa è una palude.
Una città impantanata.
Ad una certa politica questo fa comodo: la dialettica, lo scontro avvengono in uno stesso “territorio culturale”, la conservazione dello status quo è il linguaggio comune. Amministrare la palude significa trarne consenso, muoversi tra la folla di postulanti e clienti, non toccare le rendite di posizione, investire sul personalismo, ridicolizzare il dissenso.
Negli ultimi vent’anni Reggio è andata avanti così. In questa palude, semplicemente, ciascuno cerca di sbrigarsela come può.
Il dramma del primo e del secondo tempo dell’amministrazione Falcomatà è che, alla prova del governo, ha scelto di amministrare la palude, senza neanche tentare di prosciugarla. La supposta superiorità morale è stata sprovata dai fatti, le emergenze costanti dopo quasi dieci anni di amministrazione non sono giustificabili con “abbiamo ereditato una città così e così”… “Lo sappiamo”, dice la maggioranza degli elettori, “e sennò perché vi abbiamo votato?”. E però, se poi il destino è quello di affogare nella palude, “Lo vedete che erano meglio quelli prima”?
Ormai l’attività amministrativa è sospesa da mesi. Quasi tutti aspettano l’esito del 25 ottobre, scommettendo su una conclusione o sull’altra. Chi si è lanciato da giugno in campagna elettorale, chi aspetta in silenzio, chi si posiziona, chi si tiene da tutti i rami… È la palude, bellezza, adàttati.
Mettiamo che il 25 all’amministrazione comunale sia consentito continuare e che Falcomatà rientri. Sarà un bene o un male? 50%, meglio: Il nemico è alle porte! 50%, peggio: è un’agonia, per favore, basta!
Se, fatto unico e raro, al Sindaco fosse concesso un terzo tempo, dovrebbe ricordare i due tempi precedenti solo per ricordare come non si fa, come non si amministra, come non si fa politica. Un’occasione enorme di contraddire il detto “non c’è due senza tre”.
Il sottotesto è: avrà imparato la lezione? E cioè: ha visto che la città è in ginocchio e avrà la visione per leggere i bisogni, ascoltare chi non gli batte le mani, dialogare con la politica, con i partiti, con i territori? Cioè, per essere tutt’altro sindaco rispetto alle due precedenti versioni?
Reggio paga la totale assenza di politiche culturali -cioè di politiche capaci di prosciugare la palude e di investire su ciò che palude non è- e la completa assenza di visione di una Reggio diversa nel quasi decennio di questa amministrazione. I cortili elettorali, non perderli e semmai rafforzarli, tutto qui.
Il vuoto della politica, in cui i partiti del governo cittadino sono ridotti a liste elettorali; nel vuoto della politica i dirigenti fanno gli assessori. L’ indirizzo politico dov’è?
La burocrazia fa la politica e la politica, quando riesce qualcosa alla burocrazia, si fa la foto. Se si vuole amministrare la palude, così si può andare avanti.
Ma se osservare a distanza fosse servito a qualcosa, da cosa ripartire? Da ciò che in città non è palude. Da chi in questi anni ha resistito in una città in ginocchio. Da chi è rimasto ai margini, da chi ha criticato, da chi ha tenuto in piedi quartieri, esperienze, da chi ha attuato “politiche generative” in una città paludosa.
Da chi non si riconosce nella città che guarda indietro e vorrebbe andare al centrodestra, da chi non può riconoscersi in questi quasi dieci anni di amministrazione come minimo imbarazzante. Sembra che il pendolo oscilli tra un disastro e l’altro.
Ricomincio da tre, diceva Troisi. Ma aveva un paio di cose buone da salvare.
L’Amministrazione che potrebbe avere il terzo tempo ha due cose buone: che il primo e il secondo tempo sono finiti. È possibile azzerare, tirare una linea e partire un poco.
Io non ci credo, è più facile imparare dagli errori degli altri che dai propri, ma mai dire mai.”