Se c’è un posto dove il tempo si ferma, quello è il teatro. E di fatto, vent’anni sono volati via in un modo così lieve che ieri sera, seduti tra il pubblico del PalaPentimele, non ce ne siamo neanche accorti.
Sul palco, tra suggestive scenografie, magici giochi di luce e potenti colonne sonore, c’era di scena “Notre Dame de Paris”, il colossal prodotto da Clemente Zard con le musiche di Riccardo Cocciante, le liriche di Luc Plamondon, e i testi di Pasquale Panella. Il tutto, per l’inconfondibile regia di Gilles Maheu.
Nessuna foto, nessun video: già la voce introduttiva, a tutela degli artisti e del gran lavoro necessario per mettere in piedi e portare avanti uno spettacolo del genere, invita con garbo a lasciar perdere per qualche ora il nostro quotidiano per godere dalla prima all’ultima nota della magia del teatro.
Un’opera intramontabile, una storia potente, dei personaggi caratterialmente molto variegati e decisamente umani: per questo anniversario, Notre Dame è tornata in scena con il primo cast originale, un cast dalle voci inconfondibili, capace di far scoppiare un turbinio di emozioni contrastanti già dalle primissime note de “Il Tempo delle Cattedrali“, ouverture del primo atto e in qualche modo “colonna sonora” dell’intero musical.
La meraviglia del Cast originale, (quasi) al completo
Il cast originale è stato riunito in occasione del ventennale dell’opera, ed è stato annunciato che molto probabilmente questo tour sarà l’ultima occasione per rivedere insieme gli artisti, ormai lontani per età e per percorsi dai personaggi di cui hanno vestito i panni nelle ultime due decadi. Ecco, perciò, alcune delle cose che sicuramente ricorderemo per sempre:
La voce ruggente del Jo di Tonno-Quasimodo, dilaniato dal suo destino di storpio che gli fa perdere ogni speranza con la bella Esmeralda, che lo fa innamorare inconsapevolmente mostrando il suo lato più umano quando, mossa a pietà, gli concede un sorso d’acqua durante la tortura della ruota.
L’eterea bellezza di Lola Ponce, che con gli anni si rinsalda e si mostra più sicura di sé e del suo corpo, padrona della storia e della scena, nei panni di un’Esmeralda sensuale e ancora più forte, senza perdere la sua caratteristica ingenuità da ragazzina ai primi amori che la porta, tra tutti i pretendenti, a protendere per il bel Febo. Non ne abbiano a male i ballerini e gli atleti incredibili che facevano da corollario alle scene, ma ogni volta che Lola appariva sul palco, che cantasse, ballasse o semplicemente stesse ferma (come in “Bella”) tutto il resto sbiadiva.
La voce suggestiva e le gestualità magiche di Matteo Setti, l’unico vero e solo Gringoire, imitabile ma ineguagliabile, accompagnano per mano il pubblico durante tutti e due gli atti di cui lo spettacolo si compone. L’unico personaggio che, entrando e uscendo continuamente dagli eventi, è capace di strappare qualche iniziale sorriso e di conferire allo stesso tempo la giusta gravità alla storia. Matteo canta, balla più di tutti gli altri: difficile collocarlo in un ruolo preciso nella storia così come nel cast, in cui ci viene presentato come cantante, ma di fatto sembra far parte anche del corpo di ballo.
E poi, Vittorio Matteucci, che ogni volta che indossa la toga dell’arcidiacono di Notre Dame, diventa causa di un inevitabile standing ovation all’attesissimo e lunghissimo vibrato che precede “Un mattino ballavi“, quando Frollo fa un’ultima visita ad Esmeralda prima di condannarla definitivamente a morte, e tenta di ricattarla promettendole la salvezza, al prezzo di una concessione carnale. E’ qui che il personaggio si mostra debole e umano, dilaniato dalla consapevolezza di non essere mai stato più lontano dal volere del Dio a cui ha dedicato la sua vita. Come per Setti, anche Vittorio Matteucci sarà un Frollo indimenticabile e inarrivabile: brutto da dire, nei confronti di chi avrà l’onore di sostituirlo, ma profondamente veritiero.
La bellezza intramontabile di Febo-Graziano Galatone convince sempre, anche a vent’anni di distanza. Anche lui, ancora più sicuro e credibile, mette in scena un Febo seduttore, frivolo e incurante delle proprie promesse d’amore, in nome di un’esperienza di una notte che però gli costerà cara. Una voce inconfondibile per il capitano degli arcieri del Re, promesso sposo di Fiordaliso.
E proprio Fiordaliso, probabilmente, è risultata il vero rammarico di questa prima sera al PalaCalafiore: nulla contro la magistrale Tania Tuccinardi, bella, elegante, potente e perfettamente nel ruolo, ma in una reunion tanto importante avrebbe fatto piacere rivedere Claudia D’Ottavi vestire i panni della giovane patrizia costretta a sopportare i comportamenti libertini del promesso sposo Febo.
Altro grande assente Marco Guerzoni nel ruolo di Clopin, capo degli zingari e “tutore” di Esmeralda, altrettanto degnamente supplito da Leonardo di Minno che, sebbene con una voce meno graffiante del Guerzoni, sa come non farne sentire più di tanto la mancanza.
Per Notre Dame il tempo si ferma, eppure molto si trasforma
I fan veramente attenti avranno avuto modo di apprezzare, nello spettacolo di ieri sera, le piccole variazioni di scenografia e di coreografia, che hanno impreziosito le scene.
Chi, come la sottoscritta, ha ancora ben nitide davanti agli occhi le immagini del “Notre-Dame de Paris” all’Arena di Verona, probabilmente condividerà l’impressione di scene molto più “affollate” rispetto ad allora.
Una presenza di ballerini in scena molto più accentuata rispetto alle prime versioni, e giustamente: la bravura del corpo di ballo merita di essere gustata in più momenti possibile. Se il teatro frantuma la quarta dimensione (il tempo), grazie a loro vengono annullate anche le altre tre: fiato sospeso per le acrobazie a terra come sulle mura di Notre Dame, per le coreografie sospesi sul palco ma soprattutto per i salti incredibili sulle campane durante l’assolo di Quasimodo “Io suono le campane“.
Altrettanto evidente il cambio di tenore e di arredi nel “Val d’Amore“, dove l’esplicitezza dei ballerini in controluce è stata sedata e presa in carico dal cambio di letto di scena, che per questa nuova versione diventa rosso, forse damascato, con due cuscini e le spalliere ricurve. Cambio di arredi anche per “La cavalcatura“, dove la sedia si trasforma in due pietre e il viso incupito di Fiordaliso viene accentuato dalla presenza degli specchi dietro il velo nero che divide a metà il palco, con funzione di overlay ancora più suggestivo.
Non deludono mai, invece, i giochi di luci e ombre che accompagnano la maggior parte delle scene, soprattutto quelle più intime: pensiamo a “Febo è bello come il sole“, con Febo intrappolato tra le ombre di Esmeralda e Fiordaliso, o “L’ombra” che lo minaccia sulla via per il Val d’Amore, o ancora le figure sottoesposte di Frollo e Quasimodo che litigano sulle scale di Notre Dame, dopo la morte di Esmeralda.
Infine, impossibile trattenere le lacrime per “Balla, mia Esmeralda“: la voce distrutta di Quasimodo, il corpo esanime di Esmeralda, ma soprattutto le coreografie con le anime che vengono trattenute a stento e poi abbandonate al vento, creano un coinvolgimento tale che risulta del tutto assurdo mantenere un contegno e gli occhi asciutti.
Qualche accenno sull’opera teatrale “Notre-Dame de Paris”
Risulta veramente complicato spiegare questo spettacolo a chi non l’ha mai visto, ma d’altra parte il giornalismo a cos’altro serve, se non a narrare fatti complessi e talvolta perfino molto lontani?
E Notre Dame parte in effetti da molto lontano, dal romanzo storico del 1831 di Victor Hugo, che lo scrisse a soli 29 anni. A quasi due secoli, dunque, dalla sua prima pubblicazione, ancora questa storia suscita meraviglia e grande partecipazione, in qualunque formato venga proposta.
Ma il prodotto “Notre Dame de Paris”, inteso come Musical e Colossal, è probabilmente quello che al giorno d’oggi funziona meglio. Uno spettacolo collaudato, certo, in questi vent’anni di scena tutta italiana e senza contare le versioni estere: quella originale francese e quelle dei venti paesi in cui lo spettacolo è andato in tour in questi anni, con traduzione (oltre che in francese e in italiano) in inglese, spagnolo, russo, coreano, fiammingo, polacco e kazako.
Un successo confermato dai fatti: al di là dei quattro milioni di spettatori italiani e dei tredici milioni di spettatori in tutto il mondo, l’opera ha collezionato tre premi IMA (Italian Musical Awards) come Miglior Spettacolo Social, Migliori Musiche (Riccardo Cocciante) e Miglior Spettacolo Classico.
L’ultima occasione per gustare questo spettacolo
Insomma, Ruggero Pegna ce lo ripete da mesi, per non dire da anni: venite a vedere questo spettacolo. Non ci sarà una nuova occasione per vivere ancora le emozioni che solo il cast originale può regalare. Stasera e domani altri due appuntamenti, sempre alle 21:00 al PalaCalafiore di Reggio Calabria e sono ancora disponibili diversi biglietti.
Perché non approfittarne? Perderlo potrebbe davvero essere un peccato…