Il cinema danese non ha mai goduto di un grande riconoscimento internazionale; era un cinema di nicchia, amato da cinefili e appassionati, almeno fino all’arrivo di Lars Von Trier. Lars nasce il 30 aprile 1956 a Kongens Lyngby, 10 km a nord di Copenaghen, in una famiglia tutt’altro che tradizionale: i suoi genitori, atei, nudisti e comunisti, credevano fermamente nel diritto del bambino all’autodeterminazione. Inoltre, sul letto di morte, sua madre gli rivela che il suo padre biologico non era Ulf Trier, come aveva sempre pensato, bensì Fritz Michael Hartmann, membro di una famiglia di compositori molto influente.
Secondo alcune fonti, la madre voleva “geni artistici” per suo figlio.
Questo insieme di esperienze profonde e conflittuali segna Lars, contribuendo a problematiche psicologiche e dipendenze, visibili anche nella sua filmografia.
Aggiunge il “Von” al suo nome come tributo al nonno, Sven Trier, che veniva affettuosamente chiamato così dagli amici. Lars è un artista tormentato e dalla vita inquieta: viaggia solo in auto o in treno, spesso in camper, come quando ogni anno attraversava l’Europa per partecipare al Festival di Cannes. Non prende mai l’aereo, evitando destinazioni lontane. Durante le riprese di “Le onde del destino”, ad esempio, una scena girata su una chiatta in mare aperto è stata diretta da lontano, con lui sulla terraferma. Non nasconde la propria ipocondria: convinto di avere sempre qualche grave malattia, se ne lamenta spesso. Inoltre, ha sofferto di depressione, alcolismo e tossicodipendenza.
Nell’agosto 2022, la Zentropa, casa di produzione cinematografica da lui fondata, ha confermato che Von Trier soffre del morbo di Parkinson. Questi ostacoli rappresentano un fardello per la vita privata del regista, ma nel suo cinema si traducono in autentici colpi di genio, in film che trattano di temi esistenziali in cui lo spettatore si immedesima.
Lars Von Trier è, a tutti gli effetti, un regista di genio, capace di plasmare la settima arte con i suoi difetti, problemi e una visione del mondo assolutamente pessimista, al livello di Leopardi. Nei suoi ultimi film, come Antichrist (2009), Melancholia (2011), Nymphomaniac (2013) e La Casa di Jack (2018), Von Trier non salva mai nessuno. Rappresenta visivamente il disagio esistenziale, non solo attraverso le interpretazioni degli attori ma anche tramite gli ambienti, come in Melancholia, film che parla della melanconia e della depressione, simboleggiate dal pianeta in rotta di collisione con la Terra, pronto a distruggerla. Kirsten Dunst, protagonista del film, vinse il premio come miglior attrice al Festival di Cannes per la sua interpretazione magistrale. Proprio al Festival di Cannes del 2011, Von Trier compie uno dei suoi passi falsi più clamorosi, affermando di “comprendere Hitler” e immedesimandosi nel dittatore tedesco, solo nel suo bunker prima della morte. Chiaramente provocatorio e influenzato dall’alcol, il commento di Von Trier era una richiesta di aiuto, espressione del suo sentirsi profondamente solo e sofferente. Claude Lelouch definì queste parole come un “suicidio professionale”. Successivamente, Von Trier chiarì di non avere simpatie naziste o antisemite, spiegando che si trattava di una battuta indirizzata ai giornalisti. A novembre 2014, in un’intervista al quotidiano danese Politiken, il regista confessò la sua lotta contro la dipendenza da droga e alcool e rivelò di essere sobrio da allora. Von Trier ammise di aver scritto molti dei suoi film sotto l’effetto di sostanze, rivelando che, con l’alcol, scrisse Dogville (2003) , uno dei suoi tanti capolavori, in appena 12 giorni, mentre per Nymphomaniac (2013), sobrio, gli ci vollero 18 mesi.
Lars Von Trier è, senza dubbio, uno dei più grandi visionari della storia del cinema. La sua opera sfida costantemente il pubblico e lo spinge verso riflessioni profonde su temi universali, sfruttando una narrazione visiva intensa e disturbante. Tuttavia, il suo genio è strettamente intrecciato ai demoni personali che lo tormentano. La sua arte, segnata da questa lotta interiore, lo ha reso un simbolo di sregolatezza e talento puro, ma anche un uomo fragile, alla ricerca di equilibrio.
La sua sofferenza traspare in ogni fotogramma, rendendo le sue opere potenti e uniche.
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