Il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è un’occasione per riflettere su uno dei più grandi flagelli della nostra società. Da sempre, il cinema ha rappresentato uno specchio per i problemi sociali, dando voce a chi spesso rimane invisibile.
Tra i film che hanno saputo scuotere le coscienze spicca “Sotto accusa”, un’opera del 1988 diretta da Jonathan Kaplan, che resta tristemente attuale nella sua analisi della cultura della violenza sessuale e delle barriere che le vittime affrontano nella ricerca di giustizia.
“Sotto accusa” si ispira a un caso reale che sconvolse l’opinione pubblica americana negli anni ’80. Jodie Foster, in una delle sue interpretazioni più potenti e premiata con l’Oscar, dà vita a Sarah Tobias, una giovane donna che subisce uno stupro di gruppo in un bar, sotto gli occhi di numerosi testimoni che invece di aiutarla incitano i colpevoli.
Il film non si limita a raccontare l’atto di violenza, ma si concentra sul processo giudiziario e sulle dinamiche sociali che tendono a colpevolizzare la vittima. Sarah si ritrova a combattere non solo contro i suoi aggressori, ma contro i pregiudizi di una società che analizza il suo comportamento, il suo abbigliamento e le sue scelte personali per giustificare l’ingiustificabile.
“Sotto accusa” è un film che ci ricorda come la violenza non si manifesti esclusivamente attraverso gesti fisici. Anche la violenza psicologica lascia ferite profonde, spesso invisibili ma altrettanto devastanti.
La colpevolizzazione della vittima è una forma di violenza psicologica che Sarah affronta durante il processo. I tentativi di mettere in discussione il suo carattere e il suo stile di vita rappresentano un abuso emotivo che amplifica il trauma dello stupro.
Il film denuncia anche il peso dell’indifferenza sociale, che può trasformarsi in una forma di violenza simbolica. L’omertà dei testimoni nel bar, incapaci di intervenire o di prendere posizione, riflette una realtà in cui le vittime si trovano isolate e senza supporto.
La violenza psicologica, come quella subita da Sarah, non lascia segni visibili, ma mina la dignità, la sicurezza e il senso di valore personale delle donne. Questo tipo di violenza è spesso sottovalutato, ma ha conseguenze a lungo termine, come il senso di colpa, la depressione e il disturbo da stress post-traumatico.
Celebrando questa giornata, “Sotto accusa” ci invita a riflettere su due punti fondamentali:
La responsabilità collettiva: Ogni spettatore presente nel bar è complice della violenza, e il film ci ricorda che il silenzio e l’indifferenza sono anch’essi forme di violenza.
La multidimensionalità della violenza: Il film sottolinea come la violenza non sia soltanto fisica, ma anche emotiva, psicologica e istituzionale. La rivittimizzazione di Sarah da parte del sistema giudiziario e della società è una forma di abuso che merita la stessa attenzione del crimine iniziale.
A oltre trent’anni dalla sua uscita, “Sotto accusa” resta una pietra miliare del cinema di denuncia, ma la sua attualità dimostra che il cammino verso l’eliminazione della violenza sulle donne è ancora lungo.
Film come questo ci ricordano quanto sia fondamentale continuare a parlare, denunciare e agire.
La violenza, in tutte le sue forme, non è solo un problema delle vittime, ma una responsabilità collettiva che riguarda ogni angolo della società.
Oggi più che mai, il cinema ha il potere di sensibilizzare e ispirare azioni concrete.
“Sotto accusa” ci invita a non essere spettatori passivi della violenza, ma attori di un cambiamento necessario e urgente.
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