Le allieve della sezione femminile Nausicaa – Casa Circondariale S. Pietro di Reggio Calabria, anche in occasione della festa della mamma, hanno realizzato degli elaborati testuali che esplorano le radici dell’amore materno attraverso il mito greco grazie al laboratorio “Libere Dentro” a cura di Adexo/Balenando in burrasca Festival condotto da Katia Colica, scrittrice e drammaturga, specializzata in teatro sociale e mitologia, coadiuvata da Antonella Tassitano di Non Una Di Meno RC, trasformando i Miti in strumenti di riflessione, di racconto e di speranza.
«La Festa della Mamma qui dentro è fatta di mancanze», racconta una delle partecipanti. «Ma anche di un amore che non si spegne come quello di Demetra per la figlia Persefone. È un giorno che brucia e fa male, ma che ci ricorda chi siamo state e chi possiamo ancora essere». I testi sono nati all’interno del laboratorio teatrale che ha intrecciato la forza delle donne del Mito con le storie, le ferite e le rinascite di chi oggi vive la maternità da dietro le sbarre.
«A nome dell’amministrazione da me rappresentata – sottolinea il Direttore degli istituti penitenziari di Reggio, dott. Rosario Tortorella – desidero ringraziare l’Avv. Paola Carbone, Consigliera di Parità della Città Metropolitana di Reggio Calabria e la dottoressa Katia Colica, dell’associazione Adexo APS di Reggio Calabria che nell’anno 2023, hanno proposto a questa Direzione l’idea progettuale che prevedeva fra le altre cose, anche la realizzazione di un laboratorio di Scrittura Teatrale Creativa destinata alle detenute ristrette nel plesso di San Pietro di questi istituti penitenziari. La pratica teatrale in carcere, già presente da tempo in molti istituti penitenziari, grazie alla sua funzione terapeutica e pedagogica, assume significati e metodologie che incidono notevolmente sullo sviluppo della creatività delle detenute. Grazie all’attività egregiamente svolta dalla dottoressa Colica, le detenute hanno sicuramente potuto arricchire la loro cultura e identità personale, due aspetti della loro vita che le discostano dalle problematiche giudiziarie personali che sono state causa del loro ingresso in carcere. Attraverso tale pratica ancora le detenute hanno potuto riscoprire delle capacità e delle sensibilità personali di cui non erano a conoscenza; l’esperienza del gruppo teatrale ha consentito loro, infatti, di sperimentare ruoli e dinamiche diversi da quelli propri della detenzione, sostituendo i meccanismi relazionali basati sulla forza, sul controllo e sulla sfida con quelli legati alla collaborazione, allo scambio e alla condivisione.»
Il Direttore Rosario Tortorella continua riconoscendo al teatro uno strumento prezioso per la formazione personale e professionale: «In quest’ottica, il laboratorio e l’attività in esso svolta costituiscono un patrimonio da valorizzare e dal quale partire per costruire percorsi che abbiano una dimensione artistica ma anche formativa, orientata a una spendibilità esterna in grado di coniugare le competenze artistiche con quelle tecnico/professionali, al fine di rendere il carcere non solo un istituto di pena ma anche un istituto di cultura, cioè un luogo dove le contraddizioni e le energie in esso presenti vengano valorizzate e trasformate in senso costruttivo e propositivo e non solo in senso contenitivo».
Protagoniste simboliche del percorso proposto nel laboratorio sono tre figure femminili della mitologia greca: Demetra, madre ferita, che cerca sua figlia nel cuore delle stagioni; Persefone, figlia rapita ma anche donna capace di scegliere, di diventare regina del proprio inferno; ed Ecuba, madre che perde tutto, e nella perdita trova la voce per gridare il dolore del mondo.
«Abbiamo lavorato con le parole che restano quando tutto manca», racconta una delle partecipanti. «Demetra ci ha insegnato che l’amore di una madre attraversa ogni assenza. Persefone ci ha ricordato che si può rinascere anche negli inferi. Ecuba ci ha dato il coraggio di raccontare il dolore senza vergogna».
Un gesto semplice ma potente: in un luogo dove spesso il tempo si ferma, si fa spazio a una voce collettiva che, attraverso la scrittura drammaturgica, prova a cucire insieme il filo spezzato della maternità in un giorno celebrato con le parole e la speranza.