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Reggio: successo per il talk di “Onda Orange” “E’ facile parlare – diamo voce a una generazione che vuole contare”

Svolto sabato 20 dicembre il confronto tra generazioni diverse, storie raramente trovano lo spazio per dialogare

di Sebastiano Plutino
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Si è svolto sabato 20 dicembre presso la sede di Onda Orange in via Crisafi 22, a Reggio, il talk “E’ facile parlare – diamo voce a una generazione che vuole contare”.

Generazioni diverse, storie, punti di vista che raramente trovano lo spazio per dialogare. Un mosaico umano che ha restituito l’immagine di una Reggio complessa, viva, ma attraversata da contraddizioni profonde.
Una città raccontata attraverso storie di partenze e di ritorni, desiderati o mancati. Testimonianze di ventenni che sognano di tornare, o di restare, ma che si scontrano con una realtà economica povera di opportunità. La mancanza di un’offerta privata solida e strutturata rende spesso impossibile trasformare il desiderio in scelta concreta, costringendo molti giovani a cercare altrove il proprio futuro.

Qual è il ruolo dell’informazione? Sul territorio esistono realtà attive, servizi e progetti che però non sono conosciuti, o che faticano a comunicare in modo efficace ciò che offrono. Emerge un’ immagine della città che da un lato prova ad accogliere e dall’altro respinge. Un complesso mosaico composto da dinamiche legate a una mentalità chiusa, poco incline alla cooperazione e alla collaborazione che crea barriere invisibili ma potentissime.

Tra gli interventi più significativi, quello di Kento, che ha affrontato senza filtri il divario e lo scontro generazionale. Una nuova generazione arrabbiata, “incazzata”e che ha tutto il diritto di esserlo consci del fatto che saranno proprio i giovani a pagare le conseguenze delle scelte sbagliate, dei ritardi accumulati, di un sistema che troppo spesso non ha saputo guardare lontano.

Dal confronto inoltre sono emerse proposte concrete e visioni possibili: palchi aperti per dare spazio all’espressione artistica, studi di registrazione di quartiere, spazi di coworking accessibili, luoghi in cui creare, incontrarsi, lavorare insieme. Idee che parlano di una città che può diventare laboratorio, se solo decidesse di investire davvero sulle sue energie più giovani.

Tanti i giovani che hanno preso la parola e portato un contributo alla discussione.

Giuseppe ha sostenuto che amare la città, amare Reggio, essere reggini è qualcosa che i ragazzi portano nel cuore e di cui sono orgogliosi ma questo si scontra con la scarsa offerta lavorativa anche in settori legati al digitale ormai quasi monopolio del nord della penisola. Il nostro territorio sconta ancora l’incapacità di comprendere le potenzialità di questo settore. Spesso le nuove generazioni subiscono lo stigma dei fuggiaschi ma nella realtà scontano spesso l’impossibilità di rimanere in città.

Mario ha ricordato che spesso le nuove possibilità lavorative offerte dal digitale e dalle nuove tecnologie soffrono anche un gap fortissimo con il mondo della formazione universitaria.Giorgio ha posto l’accento sullo scontro generazionale e sull’eredità critica che le passate generazioni stanno cedendo alle nuove.

Federica ha ricordato come ormai la “gavetta” che si protrae per anni sia qualcosa di imposto quasi per tradizione piuttosto che per fine formativo tralasciando il fatto che alcune dinamiche lavorative ormai desuete non sono più valide e creano scarsa stabilità e l’impossibilità di immaginare un futuro.

L’assenza della capacità di collaborare è forse stato il filo conduttore degli interventi. Alice, Daniele e Martina hanno ribadito che spesso a Reggio vige un atteggiamento ostile e precostituito che privilegia più il distruggere l’altro a scapito della collaborazione e della crescita. Questo genera un ambiente nel quale ci si aspetta sempre il peggio dalla controparte creando un ambiente arido chiuso alla condivisione e al riconoscimento del merito altrui. Elisa ha confermato l’assenza della propensione a valorizzare i talenti e la tendenza al microgruppo chiuso e alla diffidenza nel fare rete.

Francesca e Christian hanno raccontato due storie quasi speculari. Francesca è andata via da Reggio sentendosi rifiutata dalla città vedendosi costretta a fare le proprie fortune altrove. Christian invece da Padova ha deciso di stabilirsi a Reggio ricordando come spesso a chi viene da fuori manchi nello sguardo quella paura verso l’apertura di una nuova attività che spesso ravvisa tra chi è nato in città.

Il messaggio finale è chiaro: se Reggio vuole includere i giovani, non può limitarsi a osservarli da lontano. Deve prenderli per mano, accompagnarli, riconoscerne il valore e la rabbia come motore di cambiamento. Solo così le storie di partenze potranno trasformarsi, finalmente, in storie di ritorni.

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