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L’Oro del Precipizio, i Plastic Farm Animals raccontano album e sè stessi

I Plastic Farm Animals, band di capaci artisti reggini, si raccontano in una gentile intervista, illustrandoci dettagliatamente il loro album

di Sebastiano Plutino

1) Siete la mia prima intervista di musica, mi auguro di essere all’altezza, non siete di certo la band più facile da intervistare alla prima esperienza. Come prima cosa vi chiedo com’è nato questo nome “ ?

 

 E’ un piacere essere proprio noi ad inaugurare i problemi con le interviste musicali.

Per tanto tempo abbiamo cercato un nome adatto, magari anche in italiano, ma ci siamo resi conto che è diventato davvero complicato trovare un nome che non sia già stato utilizzato in passato. Non eravamo e non siamo alla ricerca del colpo ad effetto a tutti i costi, ci piaceva l’idea che il nome rispecchiasse in qualche maniera un certo immaginario definito ma che lascia spazio a tante possibili interpretazioni.

 

 

2) Su quali presupposti, sensazioni nasce l’album “L’Oro del Precipizio”? Perché proprio questo nome e qual è/sono i messaggi che si pone di trasmettere al pubblico?

 

Scegliere il titolo dell’album è stato più semplice. L’immagine è chiara, racconta di provvisorietà, qualcosa di precario, un confine sul quale viviamo ed entro il quale cerchiamo costantemente il bello, qualcosa che luccichi. Serve cercare tanto, molto probabilmente serve bestemmiare tanto, ma siamo sicuri ci sia sempre qualcosa che luccica e giustifichi la ricerca.

 

 

3) Non vorrei fare una figura barbina, Diluvio Universale tratta la fine di un amore? La cui rottura con la partner per il protagonista è triste al punto di non essere molto distante dalla bruttezza della realtà del mondo moderno. Quasi si voglia lasciare andare “rimanere in equilibrio non è poi così fondamentale”?

 

Devo dirti che non l’avevo mai “letta” da questo punto di vista. Il focus del testo è sulla realtà e non ti nascondo che mi piace l’idea che ci si possa innamorare della realtà, con tutte le conseguenze che l’innamoramento si porta in dote. E ti confermo senza dubbi che “rimanere in equilibrio non è poi così fondamentale”.

 

 

4) L’Oro del Precipizio mi ha davvero colpito molto: tratta di un amore assai intenso, passionale, simbiotico, irrequieto, irrinunciabile come un bisogno, burrascoso, che manda al diavolo regole logiche basilari ed i più grandi che hanno provato a spiegare razionalmente l’Amore. Che sembrava eterno per il fuoco da cui era alimentato. Fino a quando hanno dovuto affrontare il mare. Che li ha allontanati, risucchiandoli. Sbaglio?

 

È la chiave di lettura corretta, certo. E proprio perché l’interpretazione è giusta, mi piace sottolineare l’importanza della musica che in tutti i pezzi, ma qui in particolare, gioca un ruolo fondamentale nell’accompagnare le parole dentro la burrasca in cui “Chi è chi?”. Il tema è così personale che non c’è da aggiungere molto, possiamo solo sperare di aver trasmesso bene il senso di ciò che avevamo in testa, di aver toccato e fatto risuonare le corde giuste.

 

5) “Cara la notte” mi ha dato l’impressione di un bilancio di un protagonista che vive inquieto.

 

Mi fa piacere che d’impatto i pezzi si presentino per quello che sono e non si nascondano. I ritmi sono molto serrati e il testo vuole raccontarla tutta quell’inquietudine nei modi che furono campo di sfida e riflessione di alcuni grandi scrittori del passato. In questo caso mi piace pensare che ci sia un sottile filo che lega questo pezzo al Mastro Bruno Pelaggi, poeta scalpellino delle Serre di fine ottocento, e alle sue lettere “Alla Luna”, “A Umberto I°” e “Allu Patritiernu”, che se non conoscete vi invitiamo a scoprire.

 

6) “Il Magnifico” sembra raccontare una storia fragile come certe questioni esistenziali, ma dura come solo la cruda e a volte opprimente realtà riesce ad essere.

 

Anche in questo caso, il tempo del brano scandisce un mood ideale alla narrazione. Raccontiamo sempre il reale anche quando si presenta in forma di ipotesi, quasi razionalmente. “Ho desiderato così tanto dirtelo, che il desiderio di dirtelo ha soverchiato le gerachie”, in questo incipit c’è una voglia di attenzionare la frenesia che ha fatto perdere la buona educazione di capire che c’è momento e momento, che dire certe cose, fossero anche giuste, nel momento sbagliato recano un danno doppio facendo perdere forza al concetto che si vuole esprimere. “Chi vuol esser più lieto lo sia”, nel finale, ripropone una nuova linea temporale con il concetto di Lorenzo De’ Medici. Ci piace ragionare anche in questi termini con dei concetti che se ne fottono di secoli che passano.

 

 

7) “Povero Re” è una stupenda denuncia alle difficoltà dettate dal Sistema Capitalistico. Eppure sogniamo un mondo dove la scelta di realizzazione dovrebbe essere libera, non obbligatoria per sopravvivere all’interno del proprio contesto, così difficile, pieno di contraddizioni, milioni di problemi di natura politica ed una mentalità arretrata. Ci possono essere davvero vie d’uscita? Come, chi potrebbe risolvere questa questione che si protrae senza via d’uscita da decenni?

 

Già dall’intro del brano si sentono forti scontri, sirene della polizia e sorde esplosioni. “Non è mai bello restare, non è mai bello anche andarsene”, ancora una volta è un modo per raccontare la precarietà del contesto, i dubbi costanti del farne parte, del prendere parte. Ma in questo caso la spinta emotiva sta nel passaggio “Se lo puoi desiderare devi saper cosa fartene”. Troppe volte ci si prende questioni tanto per prendersele, senza nemmeno essere troppo certi di cosa fare anche nel caso in cui il risultato dovesse essere ottenuto. Se mi chiedi chi potrebbe risolvere questa situazione io punto ancora forte sulle persone e ti rispondo che siamo noi gli artefici del nostro destino e che se siamo socialmente in questa situazione complicata è solo merito nostro. Dunque, senza retorica, la via di uscita siamo noi, se solo evitassimo di delegare da scansafatiche il nostro destino a gente alla quale di noi non gliene frega niente.  

 

 

8) “Per la Gloria” invece sembra una denuncia alla povertà culturale odierna, mancanza di cultura che porta all’esaltazione egoistica dell’Io a discapito del bene comune, dell’altruismo, dell’attivismo politico unitario, che poi porta alla violenza, alla mancanza di appartenenza nel ruolo di cittadino, alla prevaricazione sull’altro, alla violazione delle regole anche del buon senso pur di ottenere quel che si vuole a tutti i costi. Il semplificare questioni complesse per ignoranza, il semplicismo che porta al giudizio, tutti fattori ed elementi che poi si tramutano nella politica attuale: quella populista, razzista, fascista, al servizio della Finanza, Capitale, razzismo, discriminazione ed emarginazione delle minoranze. Sono tempi peggiori del passato, nonostante i passi avanti in cultura, progresso scientifico, tecnologico, nei diritti sociali…?

 

Sono tempi terribili, questo è certo. Non mi va di fare paragoni con il passato perché ogni epoca ed ogni suo protagonista si è trovato a lottare con le contraddizioni del mondo a lui contemporaneo. Preferisco pensare alla “misura specifica di quella sedia elettrica che il mio culo glorifica”, come rivendicazione del valore che ognuno di noi ha e che è giusto ricordarsi sempre di avere.

 

9) “La Ballata delle Contraddizioni”, ultimo brano del disco, sembra una denuncia del protagonista a certe costrizioni delle dinamiche della vita comune, fatta anche di superficialità e compromessi al ribasso all’interno di un contesto sociale superficiale, ipocrita ed approfittatore, che non ha tempo, o non si vuole dar il tempo, di approfondire il valore umano, personale e realizzativo.

 

“L’alto dei ieri?” di cui al ritornello del pezzo è un modo per tagliare corto su tutta una serie di ipocrisie e presunte promesse. Come una presa di coscienza “rimessa alla mercé dei menzogneri” che a volte siamo noi stessi nelle nostre stesse personali valutazioni. Essere uomini di mezz’età ci ha dato modo di approfondire alcuni aspetti dell’essere umani all’interno di un contesto quotidiano con il quale non possiamo non avere a che fare. È proprio per questo che conta molto lavorare su noi stessi per provare a stabilire noi cosa possa farci bene, cosa possa farci stare bene, cosa merita il tempo a disposizione che abbiamo in questa nostra vita (che se anche durasse 200 anni, sarebbero sempre e comunque pochi). Il titolo del brano è preso da un testo del Francois Villon, poeta, chierico, vagabondo e malavitoso francese che, attorno alla metà del 1400, ha speso con un certo criterio i 32 anni che ha avuto a disposizione. Mi colpì la coerenza della sua vita con il titolo di questa ballata, mi è sembrato che all’improvviso quadrasse tutto.

 

 

10) Da quel che ho capito l’album parla di sentimenti, vita vissuta e questioni esistenziali, ma le canzoni hanno una correlazione, un filo logico tra loro o sono a compartimenti stagni l’una dall’altra? Ce n’è una a cui siete più affezionati? E in assoluto tra tutte quelle scritte?

 

Come nella vita reale ci sono momenti e momenti, e ci sono momenti dentro i momenti che creano quella correlazione di cui parli, quella sorta di logica che per forza di cose lega la vita vissuta tanto alle questioni esistenziali quanto a una sana sbronza. Quando abbiamo deciso di raccontare storie, di raccontarci non potevamo non tenerne conto. Quindi quello che facciamo non potrebbe essere diverso da come si può ascoltare sul disco.

Non abbiamo una canzone preferita ma se proprio dovessi rispondere a questa domanda, ti direi che la nostra canzone preferita è la prossima.

 

 

11) L’album sta riscuotendo il successo sperato? Avete già ottenuto contratti? Avete fatto altri album precedenti a questo e pensate già ad un prossimo album?

 

“L’oro del Precipizio” è il nostro primo album. Lo abbiamo registrato al Desert Door Studio di Catania ed è uscito per Overdrive Records, che ci sta affiancando con la promozione. Siamo consapevoli di come stanno le cose e di quante cose possa significare la parola “successo”. Nel nostro caso siamo certi di aver registrato il disco che volevamo, lo abbiamo fatto uscire e lo stiamo portando in giro perché il bello, la parte carnale, sta proprio nei live ai quali lavoriamo costantemente. Abbiamo un po’ di concerti in programma e le date sono in aggiornamento. E, ovviamente, stiamo anche lavorando a nuove idee per i brani che saranno il corpo del prossimo album.

 

 

12) I componenti di Plastic Farm Animals si conoscevano da prima o sono diventati band per l’occasione? Chi sono quando non suonano, amici, padri di famiglia, attivisti o altro? Quali sono le loro più grandi passioni, sogni ed hanno aspirazioni future?

 

Ci conosciamo da una vita e abbiamo condiviso i nostri percorsi musicali sin da quando eravamo poco più che ragazzini. Nei Plastic Farm Animals confluiscono le persone che siamo oggi: uomini, amici, padri di famiglia, lavoratori, attivisti, liberi pensatori sicuramente appassionati di quella passione che brucia dentro e che ha ancora necessità di essere espressa, come accade per i vulcani attivi. Necessità, voglia, urgenza espressiva sono concetti con i quali siamo cresciuti e che gli anni non hanno scalfito. Ci piace ancora molto che sia così. In merito al futuro posso dirti che ricordo di una cara considerazione secondo la quale “u futuru s’u futtìru”, ecco l’idea del futuro e ricostruirne quotidianamente uno nuovo, cercando sempre di riconoscere tra la le persone che ci circondano le facce di quei maledetti sciacalli e ladri.    

 

 

13) Ho letto su Rockit.it che “l’idea di partenza non verrà mai svelata”, ma è proprio così o farete l’eccezione per qualcuno, regalandogli una memorabile esclusiva, tipo me?

 

Capirai bene che purtroppo non possiamo. Quello che invece possiamo fare è ringraziarti per la tua attenzione e per l’analisi che hai fatto di ogni pezzo contenuto nel disco, per la passione, per la curiosità e per la tua voglia di approfondire. A ben pensarci questa intervista è già memorabile così. No?

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