21 novembre 2003: un giorno che il cinema sudcoreano – e mondiale – non dimenticherà mai.
In questa data, Park Chan-Wook presenta al pubblico sudcoreano Oldboy, il secondo capitolo della sua celebre Trilogia della Vendetta.
Non un semplice film, ma un’esperienza viscerale, un’opera che squarcia le convenzioni del thriller e le ricompone in un mosaico di dolore e violenza.
Oldboy non è solo una storia di vendetta, è una spirale di follia, un enigma costruito come una tragedia greca.
La trama segue Oh Dae-su, un uomo comune, rapito senza motivo apparente e imprigionato per 15 anni in una stanza senza finestre.
Quando viene rilasciato, non cerca la libertà: vuole risposte, ma la vendetta che insegue è solo un tassello di un gioco sadico e crudele, orchestrato con precisione chirurgica.
Il film è tratto dall’omonimo manga giapponese, scritto da Garon Tsuchiya e illustrato da Nobuaki Minegishi.
Sebbene Park Chan-Wook prenda ispirazione dalla trama originale, la sua interpretazione è unica, amplificando il dramma psicologico e i temi morali con una profondità che trascende il medium originale.
“Ridi, e il mondo riderà con te. Piangi, e piangerai da solo.”
Con questa frase, il film apre un sipario che lascia intravedere tutta la solitudine e la brutalità dell’esistenza di Oh Dae-su.
“Fai molta attenzione a quello che fai. Perché un granello di sabbia può innescare una valanga.”
Una riflessione sulle conseguenze, sull’effetto domino delle azioni umane che, nell’universo vendicativo di Park Chan-wook, diventano micce pronte a esplodere.
“Non chiedermi perché ti ho imprigionato. Chiediti perché ti ho liberato.”
Una battuta che incarna perfettamente il gioco mentale tra i due protagonisti, un duello psicologico che culmina in uno dei finali più sconvolgenti della storia del cinema.
La musica è il cuore pulsante di Oldboy.
La colonna sonora, composta da Jo Yeong-Wook, accompagna il film con una delicatezza e una forza che amplificano le emozioni.
“The Last Waltz”, in particolare, è un brano iconico, una melodia malinconica e ipnotica che scandisce i momenti più intensi del film. Il waltz diventa un simbolo della danza tra vendetta e redenzione, un lento girotondo che trascina i protagonisti e il pubblico verso un inevitabile epilogo.
Oldboy è il cuore pulsante della trilogia di Park Chan-wook, composta da:
- “Mr. Vendetta” (2002)
Una storia brutale e spietata che esplora le conseguenze di un rapimento finito male. Qui la vendetta è dipinta come un virus: inevitabile, contagiosa, letale. - “Oldboy” (2003)
L’apice della trilogia, dove la vendetta diventa un’arte. Con una regia ipnotica e sequenze ormai leggendarie – come il piano sequenza del combattimento nel corridoio – Park trascina lo spettatore in un abisso di emozioni contrastanti. - “Lady Vendetta” (2005)
L’epilogo della trilogia è un inno alla redenzione. Geum-ja Lee, una donna accusata ingiustamente di omicidio, trama per anni un’elaborata vendetta contro il vero colpevole, ma lo fa con una lucidità quasi poetica.
Questi tre film, pur non essendo legati narrativamente, formano un trittico tematico.
Park esplora le molteplici sfaccettature della vendetta: come nasce, come consuma e, a volte, come libera.
A distanza di 21 anni, Oldboy rimane una pietra miliare del cinema mondiale. Ha influenzato registi di ogni parte del globo, ispirando rifacimenti e omaggi (come il controverso, per usare un eufemismo, remake di Spike Lee del 2013) che non può neanche minimamente paragonarsi alla potenza dell’originale, che non è solo un film, ma un’esperienza emotiva e filosofica che resta impressa nella memoria.