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‘Ndrangheta infiltrata in Emergenza Covid: 6 arresti

Gli imputati avrebbero nutrito interessi ramificati nel settore della sanità lombarda e agevolato cosche di 'ndrangheta locali e di Vibo Valentia

di redazione

Sei persone, presunte appartenenti ad un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati di natura economica e che avrebbero agevolato cosche di ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo (Varese) e Vibo Valentia, sono state arrestate stamani dai finanzieri dei Nuclei di Polizia Economico-Finanziaria di Varese e Milano, in un’inchiesta della Dda milanese coordinata dai pm Alessandra Cerreti e Silvia Bonardi. Dalle indagini è emerso che i clan avrebbero avuto “interessi ramificati nel settore della sanità lombarda, in relazione alle attività connesse all’emergenza sanitaria da Covid 19, con particolare riferimento a forniture di materiale sanitario ed esecuzione di tamponi da parte di soggetti a ciò non professionalmente autorizzati”. La presunta associazione per delinquere acquisiva società in crisi “che, una volta entrate nella sfera di operatività dell’organizzazione, venivano portate al fallimento non prima di averne completamente depauperato il patrimonio in danno dei creditori, primo fra tutti l’Erario, nei confronti del quale le imprese si sono rese inadempienti in merito agli obblighi dichiarativi e di pagamento delle imposte dovute”.

Nelle indagini, svolte anche dal Nas dei Carabinieri di Milano, sono state ricostruite “operazioni distrattive di denaro, per oltre 4 milioni di euro, dai conti correnti di tre società dichiarate fallite dai Tribunali di Milano, Bergamo e Monza”. Somme che, spiegano gli investigatori, “sono state successivamente drenate a favore di altre imprese del gruppo, anche localizzate in territorio estero, sotto forma di pagamenti di fatture per operazioni inesistenti”. Uno dei presunti capi dell’associazione per delinquere avrebbe “agevolato le ‘locali'” di ‘ndrangheta “di Lonate Pozzolo e Vibo Valentia, “contribuendo al mantenimento finanziario di elementi di spicco delle stesse associazioni e dei loro familiari, nonché procurando falsi contratti di assunzione a familiari delle citate locali”.

Spunta un’imputazione di sfruttamento della prostituzione nell’inchiesta della Dda di Milano che ha portato a 6 arresti e che verte anche su infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’emergenza Covid. Uno degli indagati, Gianluca Borelli, presunto ‘uomo cerniera’ tra i clan e il medico Cristiano Fusi, avrebbe organizzato “un incontro” tra una prostituta e un dirigente d’azienda, non indagato, in un hotel di Milano per far partire trattative per forniture di “materiale per Covid”. Lo si legge negli atti.

L’inchiesta dei pm Cerreti e Bonardi è nata da un primo capitolo noto del dicembre 2020 sulla gestione, ritenuta “opaca”, dei tamponi ai giocatori del Monza Calcio, che erano anche stati sequestrati. E che vedeva già al centro proprio Borelli (indagato), pregiudicato per bancarotta, e Cristiano Fusi (indagato), stimato primario della clinica monzese Zucchi e anche ex medico del settore giovanile del Milan, oltre che del Monza. E che aveva pure uno studio alla clinica milanese Madonnina. Borelli, secondo le indagini, avrebbe eseguito tamponi sia all’interno della Madonnina che per il Monza, pur non essendo nemmeno un medico. Tra i quasi 60 capi di imputazione contenuti nell’ordinanza, firmata dal gip Tiziana Gueli (la Procura aveva chiesto 19 misure cautelari, ma 6 sono stati gli arresti) c’è anche quell’incontro “organizzato” da Borelli e Fusi tra il manager di un istituto del gruppo San Donato e una giovanissima prostituta, pagata 500 euro, in un albergo di lusso di Milano. E ciò in cambio, scrivono i pm, della “utilità consistente nell’avvio di trattative” con l’istituto clinico “finalizzate alla stipulazione di contratti aventi ad oggetto la fornitura di materiale per Covid 19”, tra cui mascherine e camici. In una telefonata del settembre 2020 Fusi parlando con Borelli e riferendosi al manager diceva: “Lui è il principino ma … da oggi pomeriggio il principino è sotto scacco, eh?”. E una terza persona, che aveva contattato la ragazza e prenotato la camera d’albergo, diceva: “Speriamo! Dobbiamo chiudere l’operazione”. Tra l’altro, si legge ancora, questa terza persona, ossia Josef Amini, avrebbe anche avuto “documentazione fotografica dell’incontro da utilizzare per il conseguimento dell’utilità”. E scriveva in una chat: “Tranquillo esce con le ossa rotte”. E Fusi rispondeva: “hai foto?”. Nel corso del blitz di oggi la Gdf di Varese e Milano ha sequestrato anche 200mila euro in contanti ad uno degli arrestati, grazie ad un ‘cash dog’, ossia ad un cane addestrato, ed è stata trovata anche una lettera di sostegno a uomini del clan dei Mancuso.

“Alfonso ti dà lo studio (…) falli entrare uno alla volta (…) dai meno nell’occhio ti prego”. Così Cristiano Fusi, all’epoca responsabile Riabilitazione specialistica degli Istituti Clinici Zucchi del gruppo San Donato, nonché “medico fisiatra” alla clinica Madonnina, avrebbe dato istruzioni a Gianluca Borelli, con precedenti per bancarotta, su come effettuare i tamponi anche se quest’ultimo non aveva alcun “titolo abilitativo per farlo”. Lo si legge in un’imputazione per esercizio abusivo della professione, contestata a Fusi, Borelli e ad un’altra persona, contenuta negli atti dell’inchiesta della Dda milanese sulle infiltrazione della ‘ndrangheta nella sanità lombarda, che oggi ha portato a 6 arresti. Secondo l’accusa, Fusi avrebbe fatto in modo che Borelli facesse tamponi anti-Covid per la clinica Zucchi, alla Madonnina e anche per il Monza Calcio. Era il primo ad attivarsi per “il reperimento dei pazienti”, mentre Borelli era “l’esecutore materiale” degli stessi tamponi. Gli appuntamenti, si legge ancora, venivano organizzati “anche all’interno della clinica Madonnina” e Borelli veniva presentato da Fusi “come suo collega o collaboratore”. Era un addetto alla reception della clinica ad accompagnarlo “presso la stanza adibita”. Intercettato tra ottobre e novembre 2020, Fusi diceva a Borelli: “Uno alla volta li fai entrare”. E Borelli: “Ma tu vieni però?”. Fusi: “Sì sono in macchina (…) fatti dare il locale e falli entrare uno alla volta (…) inizia a fare tu!”. Per i tamponi non sarebbero stati compilati i moduli specifici, né rispettati i percorsi dei pazienti e in generale non sarebbero state seguite le normative anti-Covid. (ANSA).

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