La presentazione di una corposa documentazione, depositata agli inizi del mese dalla Dda di Catanzaro, ha provocato le eccezioni di alcuni difensori degli imputati nel processo Rinascita Scott in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme davanti ai giudici del Tribunale di Vibo Valentia. L’avvocato Alessandro Diddi – che è anche promotore di giustizia vaticano – in particolare, nell’udienza di oggi, collegato in videoconferenza, ha lamentato che “sono stati violati i diritti di difesa”. Concetto espresso anche in un documento depositato. La documentazione depositata dall’accusa è composta dalle sentenze prodotte in altri processi nei confronti di imputati, verbali di collaboratori e testimoni di giustizia già depositati in altri procedimenti, tabulati, dvd, documentazione su servizi di geolocalizzazione, di sms, sulla deposizione degli operatori del Ros di Roma, Catanzaro e del Roni di Vibo. Una mole di documenti nei confronti della quale i legali eccepiscono “la nullità per violazione del diritto di difesa della produzione documentale tenuto conto dell’esigenza, oltre che di poter visionare la documentazione, di poter esercitare il diritto alla controprova; la inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e ambientali per le quali non siano presenti i file originali delle registrazioni delle intercettazioni”. L’udienza, vista l’assenza di uno dei componenti del collegio giudicante, è stata rinviata al prossimo 3 maggio. In quella data vi sarà la replica dell’Ufficio di Procura e la decisione dei giudici. Oggi, intanto, il pm Annamaria Frustaci ha anticipato quelle che sono le argomentazioni dell’accusa, ovvero che il materiale depositato vuole essere una ulteriore garanzia per le difese e gli imputati, un termine di verifica messo a disposizione per amore di garanzia e trasparenza. “Mi chiedo e vi chiedo – ha sostenuto l’avv. Diddi – perché tutto questo? perché a ridosso della conclusione del dibattimento quando tutto poteva essere fatto a tempo debito? Perché costringervi e costringere le difese a questo incredibile sforzo a ridosso della conclusione del processo e con il ricatto morale (perché è evidente che di questo solo si tratta) che siccome non c’è tempo da perdere, stante l’imminente scadenza dei termini di custodia, si deve fare tutto in fretta? Alla vigila di un momento importante – ha aggiunto rivolgendosi ai giudici – qual è quello della decisione, in un processo che farà la storia della Calabria, non dovete ‘sporcare’ quello che avete costruito, con decisioni dettate solo dalla impellenti necessità di andare avanti e che vi chiedono di adottare noncuranti delle ragioni delle difesa”. (ANSA).
Dda di Catanzaro
L’amministrazione comunale di Rende ha scritto alla prefetta di Cosenza Vittoria Ciaramella chiedendo l’accesso agli atti della Commissione d’accesso antimafia che nelle scorse settimane ha ultimato il lavoro iniziato il 30 settembre 2022 consegnando al Prefetto la propria relazione. L’accesso era stato disposto a seguito dell’operazione denominata “Reset”, coordinata dalla Dda di Catanzaro che ha coinvolto, tra gli altri, il sindaco Marcello Manna. “Auspichiamo che questa nostra azione – afferma Manna in una nota – divenga invito ad aderire ai principi costituzionali e apra la strada alla possibilità di avere un contraddittorio ad ulteriore tutela delle garanzie difensive”. Nella lettera, Manna evidenzia che “l’esperienza di attuazione della legge, che interessa lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare, ha da sempre dimostrato di necessitare di alcune opportune modifiche, tutte orientate verso una maggiore garanzia ed un migliore bilanciamento degli interessi coinvolti”. Il sindaco ricorda qui “che la recente proposta di legge, presentata in Senato in questa Legislatura e comunicata alla Presidenza in data 26 ottobre 2022, evidenzia la forte incidenza dei provvedimenti di scioglimento sulla autonomia degli enti locali e, nello stesso tempo, chiede proprio la modifica del comma 3 dell’art 143 Tuel. Risulta del tutto evidente che, in caso di approvazione del disegno di legge in parola, si realizzerebbe una modifica (rectius, integrazione) molto importante della normativa vigente, in direzione di una estensione delle garanzie defensionali per un più completo contraddittorio, della quale non può non tenersi conto sin da subito. Più in particolare, la proposta intende prevedere la possibilità per il rappresentante legale dell’Ente locale di fornire le proprie controdeduzioni ed essere sentito, prima della determinazione del Prefetto (sulla procedibilità della eventuale domanda di scioglimento) e, quindi, ben prima che gli atti passino alle fasi successive”. Manna chiede quindi “di essere autorizzati ad accedere agli atti che verranno prodotti dalla Commissione d’accesso, dei quali si chiede di prendere visione e di cui si fa richiesta di poter estrane copia” e di “essere audito per fornire eventuali chiarimenti e spiegazioni rispetto a quanto a lei trasmesso dalla stessa Commissione”. Infine il sindaco chiede di “sollevare dinanzi al ministro competente la questione della opportunità di sospensione del procedimento in corso, nell’attesa di conoscere l’esito che avrà la proposta di legge presentata in Senato, ovvero di essere autorizzati dallo stesso ministro ad integrare una forma di contraddittorio cosi come delineata con la presente richiesta”. (ANSA).
“Quando sarà il momento, faremo fare una brutta fine a Gratteri e ai suoi collaboratori. La ‘ndrangheta è nata prima della legge. In Calabria comandiamo noi, come è sempre stato”. Sono frasi di Antonio Mangone, di 58 anni, teste dell’accusa, sentito oggi nel processo “Rinascita Scott” alle cosche del Vibonese, in corso davanti il Tribunale di Vibo Valentia nell’aula bunker di Lamezia Terme, ha riferito di avere ascoltato pronunciare da alcuni imputati dello stesso dibattimento detenuti, come lo é stato lui, nel carcere di Siracusa. Mangone ha riportato, in particolare, le frasi contro Gratteri che, a suo dire, sarebbero state pronunciate da Gianfranco Ferrante, imputato nel processo Rinascita scott con l’accusa di essere organico alla cosca Mancuso di Limbadi. “Noi siamo una potenza – avrebbe detto Ferrante, secondo Mangone -. Non siamo mica morti e col tempo tutti questi (il riferimento è stato a Gratteri, ai magistrati della Dda di Catanzaro ed ai loro collaboratori, ndr) la pagheranno e faranno una brutta fine”. Mangone, che è originario di Cariati ma risiede da tempo in un centro alle porte di Padova, ha aggiunto che lo stesso Ferrante avrebbe fatto riferimento anche alle dichiarazioni di un pentito secondo il quale una cosca della ‘ndrangheta avrebbe progettato un attentato contro i figli del procuratore Gratteri. “C’erano anche affiliati di altre cosche, comunque – ha detto ancora Mangone – che parlavano male di Gratteri”. Antonio Mangone, che non è un collaboratore di giustizia, é stato coinvolto in passato in un procedimento sulla presenza della cosca Grande Aracri in Veneto. A conclusione del suo esame Mangone ha chiesto al Tribunale che gli vengano concessi lo status di collaboratore di giustizia e un programma di protezione per sè e la sua famiglia. Il presidente del Tribunale, Brigida Cavasino, ha risposto che la decisione sulla richiesta di Mangone compete ad altri organi giudiziari e non al collegio giudicante davanti al quale si sta celebrando il processo “Rinascita scott”. (ANSA).
E’ di sei persone arrestate dai carabinieri, tre delle quali in carcere e altrettante ai domiciliari, tra Petilia Policastro e Cotronei, il bilancio di un’operazione che ha disarticolato la locale di ‘ndrangheta attiva nella zona del Crotonese. Le persone arrestate dai militari della Compagnia di Petilia Policastro supportati dai colleghi delle Squadrone eliportato Cacciatori di Calabria, in esecuzione di un provvedimento emesso dal Gip di Catanzaro su richiesta della Dda del capoluogo calabrese, sono accusate, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, incendio ed usura aggravati dal metodo mafioso. L’indagine condotta dai carabinieri sotto la direzione della Procura distrettuale di Catanzaro ha riguardato un arco temporale ampio e si è sviluppata attraverso attività di tipo tradizionale e intercettazioni. Gli esiti dell’attività investigativa, secondo quanto riferito, hanno consentito di delineare l’attuale operatività della locale di ‘ndrangheta Petilia Policastro e di rilevare gli interessi criminali della ‘ndrina in seno alla realtà imprenditoriale del territorio. (ANSA).
(ANSA) – CATANZARO, 11 FEB – E’ tornato in libertà il presunto boss di Cetraro Franco Muto. Lo ha deciso – come scrive la Gazzetta del Sud – il magistrato di sorveglianza di Sassari che ha disposto il differimento della pena per il “re del pesce”. Muto, 81 anni, condannato a 20 anni di carcere con sentenza definitiva per associazione mafiosa lo scorso anno, era da mesi rinchiuso nell’istituto penitenziario di Tempio Pausania. Recentemente il suo legale, Michele Rizzo , aveva presentato un’istanza corredata da documentazione medica per chiedere che lasciasse la cella per le condizioni precarie di salute incompatibili con la detenzione in carcere. Franco Muto ha lasciato nel pomeriggio di ieri in penitenziario di Tempio Pausania per raggiungere la sua abitazione di Cetraro dove, in passato, ha già scontato gli arresti domiciliari. Nel carcere sardo, Muto stava espiando la condanna a 20 anni di carcere comminatagli nel processo “Frontiera”, l’inchiesta della Dda di Catanzaro contro la sua cosca attiva oltre che sul controllo del mercato ittico lungo la fascia tirrenica cosentina anche nel racket delle estorsioni e nel traffico di droga.
I carabinieri hanno disarticolato un presunto sodalizio dedito al traffico e dallo spaccio di marijuana e hascisc nella zona del soveratese, del quale facevano parte anche 3 minorenni. I carabinieri della Compagnia di Soverato, supportati nella fase esecutiva da quelli dei Comandi territorialmente competenti, hanno eseguito 3 distinte ordinanze cautelari, emesse dal Gip di Catanzaro e dai Gip dei Tribunali per i minorenni di Catanzaro e Reggio Calabria su richiesta delle rispettive Procure – Dda di Catanzaro e Procure per i Minorenni di Catanzaro e Reggio – nei confronti di 11 indagati, accusati, rispettivamente, di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e detenzione e cessione di sostanze stupefacenti. Quattro indagati sono stati portati in carcere, 4 ai domiciliari mentre per i minori, 2 sono da collocare in Comunità ministeriali e uno nell’Istituto penale di Catanzaro. Il gruppo avrebbe gestito lo spaccio in luoghi pubblici dei Comuni del soveratese con canali di approvvigionamento a Guardavalle e Serra San Bruno, e luoghi di occultamento in 4 depositi a Isca sullo Ionio, Petrizzi, Serra San Bruno e Montepaone. Il presunto coinvolgimento di minorenni è stato ricostruito grazie alla sinergica collaborazione tra la Dda e le diverse Procura minorili nella logica, spiegano gli investigatori, “di garantire un sempre maggiore coordinamento che possa favorire l’emersione di forme di devianza minorile, intervenendo il più precocemente possibile sui contesti socio familiari che favoriscono l’avvicinamento di minori a circuiti delinquenziali anche in forma organizzata”. L’indagine, condotta dai carabinieri della Compagnia di Soverato, è iniziata dopo una perquisizione veicolare, eseguita il primo gennaio 2022 nel parcheggio di un centro commerciale di Montepaone, a carico di due soggetti, trovati in possesso di 840 euro e di 5 grammi di marijuana, e si è sviluppata con l’ausilio di attività tecniche, il cui riscontro ha consentito l’arresto in flagranza di 4 soggetti, il sequestro di 148 chili di marijuana e di 2,9 di hascisc, e di registrare momenti di tensione tra i componenti, per l’ammanco di droga e agli adempimenti relativi alla consegna dei proventi dello spaccio.
Operazione della Polizia di Stato, coordinata dalla Dda di Catanzaro, nel comune di Rocca di Neto, nel Crotonese, nei confronti di alcuni appartenenti alla ‘ndrangheta che avrebbero avuto collegamenti con gli Stati Uniti d’America. Diciotto sono i provvedimenti di fermo eseguiti dalla polizia nell’ambito dell’operazione su un’associazione mafiosa con base nel comune del Crotonese, e proiezioni negli Stati Uniti d’America dove avrebbe gestito una vasta serie di attività illecite. I provvedimenti di fermo sono stati emessi dal sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Paolo Sirleo, che ha diretto l’inchiesta in stretto coordinamento con il Procuratore della Repubblica, Nicola Gratteri. Le persone destinatarie dei provvedimenti sono fortemente indiziate di appartenere ad un’associazione per delinquere di stampo mafioso. All’operazione che è in corso stanno partecipando duecento agenti appartenenti al Servizio centrale operativo della Polizia di Stato (Sco), alle Squadre mobili di Crotone e Catanzaro ed ai Reparti prevenzione crimine, unitamente a personale dell’Fbi, ovvero il Federal Bureau of Investigation. Alcune perquisizione sono state effettuate alcune anche a New York. L’associazione mafiosa che è stata sgominata, secondo quanto è emerso dalle indagini, aveva un gruppo satellite nella Grande Mela composto da italo-americani da tempo residenti nella metropoli statunitense che gestiva una vasta serie di attività illecite. Le perquisizioni, disposte dalla Dda di Catanzaro, sono state eseguite da personale dell’Fbi. (ANSA).