Dopo una agonia di alcuni giorni è morto nell’ospedale dell’Aquila il boss Matteo Messina Denaro, l’ultimo stragista di Cosa Nostra, arrestato a gennaio dopo 30 anni di latitanza.
Il capomafia, 62 anni, soffriva di una grave forma di tumore al colon che gli era stata diagnosticata mentre era ancora ricercato, a fine 2020. Messina Denaro è morto poco prima delle 2. Il corpo del mafioso si troverebbe ora in uno dei sotterranei dell’obitorio dell’ospedale aquilano che dista non più di cento metri dalla camera-cella nella quale era ricoverato dallo scorso 8 agosto. Fuori dall’obitorio qualche telecamera, pochi fotografi e pochi giornalisti, ma una presenza compatta di tutte le forze dell’ordine. Non ci sono curiosi, ma solo addetti ai lavori a presidiare l’ingresso dell’obitorio. Nelle prossime ore sarà possibile capire la destinazione della salma che è a disposizione dell’autorità giudiziaria di Palermo.
Era stato proprio il cancro al colon a portare i carabinieri del Ros e la Procura di Palermo sulle tracce del boss, riuscito a sfuggire alla giustizia per 30 anni. Dopo la cattura, Messina Denaro è stato sottoposto alla chemioterapia nel supercarcere dell’Aquila dove gli è stata allestita una sorta di infermeria attigua alla cella. Una equipe di oncologi e di infermieri del nosocomio abruzzese ha costantemente seguito il paziente apparso subito, comunque, in gravissime condizioni. Nei 9 mesi di detenzione, il padrino di Castelvetrano è stato sottoposto a due operazioni chirurgiche legate alle complicanze del cancro. Dall’ultima non si è più ripreso, tanto che i medici hanno deciso di non rimandarlo in carcere, ma di curarlo in una stanza di massima sicurezza dell’ospedale, trattandolo con la terapia del dolore e poi sedandolo.
Nel supercarcere dell’Aquila è entrato poche ore dopo l’arresto.
La Procura di Palermo ha subito chiesto e ottenuto per lui il 41 bis. Era il 16 gennaio, il giorno in cui è terminata la trentennale latitanza del boss Matteo Messina Denaro. Dal blitz dei carabinieri del Ros, scattato poco prima che il capomafia, malato di cancro, si sottoponesse sotto falsa identità alla chemioterapia in una clinica di Palermo, sono trascorsi quasi nove mesi. Oggi con la sua morte, ormai da settimane in condizioni gravissime e da venerdì in coma irreversibile, è calato il sipario sulla storia dell’ultimo stragista di Cosa Nostra.
Quando è apparso evidente che a Messina Denaro restava poco da vivere sono stati autorizzati incontri con i suoi più stretti familiari. Il peggiorare dello stato di salute e due interventi chirurgici hanno poi imposto la sospensione della chemio e la scelta della terapia del dolore. In cella l’ex latitante non è più tornato. Negli ultimi giorni col suo consenso il boss è stato sedato e, rispettando le volontà espresse nel suo testamento biologico, gli sono state staccate le macchine che lo tenevano in vita alla presenza del suo difensore, nominato tutore legale.
I magistrati, in questi mesi di detenzione, l’ex latitante li ha incontrati tre volte accettando di rispondere alle domande del procuratore Maurizio de Lucia, dell’aggiunto Paolo Guido, dei pm Gianluca de Leo e Piero Padova e a quelle del gip Alfredo Montalto. “Io non mi pento”, ha messo in chiaro da subito ammettendo solo quel che non poteva negare, come il possesso della pistola trovata nel covo, e negando tutto il resto: l’appartenenza a Cosa Nostra, gli omicidi, specie quello del piccolo Di Matteo, il figlio del pentito rapito, strangolato e ucciso, le stragi, i traffici di droga. “Stavo bene di famiglia”, ha spiegato ribadendo che comunque dei suoi beni, tutti ancora da trovare, non avrebbe parlato. “Se non mi fossi ammalato non mi avreste preso”, ha detto sfottente ai pm spiegando che è stato il cancro a fargli abbassare le difese e a portarli sulle sue tracce.
Nella sua vita da detenuto, come altri padrini prima di lui, Messina Denaro ha avuto una condotta impeccabile. Letture, poca tv, le terapie, somministrate in una infermeria ricavata accanto alla cella, quale allenamento nei primi tempi, le lettere e le visite della figlia naturale, Lorenza, riconosciuta solo pochi giorni prima della morte.
Morte Messina Denaro, Sindaco di Castelvetrano: “Ha fatto tanto male”
“Muore un uomo che ha fatto tanto male alla sua terra.
Ci vorranno decenni ancora, prima che culturalmente si ponga fine a una mentalità, a una cultura, talvolta dilagante, di illegalità, di impunità, che lui e i suoi accoliti e altri prima di loro, hanno coltivato per troppo tempo”.
Lo dice il sindaco di Castelvetrano Enzo Alfano, appresa la notizia della morte di Matteo Messina Denaro.
Castelvetrano è la città dove Messina Denaro e nato e ha vissuto prima di darsi alla latitanza e dove vivono ancora i suoi familiari. “Ci attende un percorso inequivoco, di sana ed oggettiva consapevolezza che dovrà coinvolgere tutta la stragrande maggioranza di donne ed uomini perbene di cui il nostro territorio è abitato , che dovrà negare ogni consenso a quanti, pochissimi invero, continuano ad avere ancora ‘annacamenti’ disdicevoli”.
Il primo cittadino aggiunge: “Avrebbe potuto redimersi, non solo cristianamente, e fare nomi e raccontare fatti di cui è stato autore , artefice e mandante. Non l’ha fatto. Ed è un vero peccato per la giustizia. Un pensiero di vicinanza umana voglio esprimerlo alla figlia Lorenza, riconosciuta nelle ultime settimane, che reputo vittima innocente della situazione.
Auspico che si chiuda definitivamente un capitolo e un libro tristissimo per questo straordinario territorio, pieno di grande storia e potenzialità mai dispiegate fino in fondo, perché avvolto da una cappa soffocante che ha tenuto ben lontano tanti imprenditori seri e investimenti puliti”, ha concluso Alfano.