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Finanziamento ad Arghillà, Nicolò (AVS RC): “Fondi stanziati senza progetto”

"Operazione di facciata che non cambia nulla, Arghillà resta un ghetto. Non servono elemosine", tuona il Segr. della sez. "Luxemburg"

di Sebastiano Plutino

Cinque milioni di euro per Arghillà. Il Governo Meloni esulta, la destra locale si mette in posa per le foto di rito, ma la verità è che non cambia nulla. Arghillà resta un ghetto, un quartiere abbandonato da decenni, tenuto in piedi con interventi occasionali e mai con una vera strategia di riscatto.

Questa non è una soluzione: è l’ennesima operazione di facciata per nascondere il fallimento della politica istituzionale su Reggio Calabria.

Non è un caso che la destra continui a trattare Arghillà come un problema da gestire con misure straordinarie invece che con politiche strutturali. Si ripete sempre lo stesso copione: si stanziano fondi a pioggia senza un progetto reale di trasformazione, senza un piano per il lavoro, per la casa, per i servizi. Arghillà è stata costruita come una zona di esclusione, un quartiere isolato fisicamente e socialmente dal resto della città, senza infrastrutture adeguate, senza opportunità. E oggi continua a essere trattata come una ferita da nascondere, non come una comunità da valorizzare.

Giacomo Marino, dell’associazione Un Mondo di Mondi, ha descritto con estrema lucidità questa realtà: Arghillà è il risultato di precise scelte politiche, di un modello di gestione urbanistica e sociale che ha concentrato povertà e disagio in un’unica area, rendendola una prigione a cielo aperto. A questo dovrebbe rispondere un governo serio, ma invece di proporre un vero piano di fuoriuscita dal ghetto, di investire su casa, lavoro, servizi, cultura, la destra si limita a distribuire fondi dall’alto, senza coinvolgere la popolazione, senza ascoltare chi ogni giorno vive il quartiere.

A sostituire un’amministrazione pubblica assente è spesso il tessuto associativo e solidale, che da anni rappresenta l’unico vero presidio di welfare in quartieri come Arghillà. Sono le associazioni, i volontari, le realtà di base che provano a garantire un minimo di diritti sociali: dall’educazione all’assistenza sanitaria, dall’inclusione lavorativa alla lotta per il diritto alla casa. Questo però non può essere un alibi per lo Stato, che continua a delegare la gestione della povertà a chi ha pochi mezzi e zero potere decisionale.

Crediamo che la soluzione per Arghillà non sia tamponare l’emergenza, ma un progetto politico che parta dal basso e abbia come obiettivo principale una cosa: far uscire il quartiere dall’isolamento. Questo significa servizi pubblici di qualità, un trasporto efficiente che lo colleghi al resto della città, un piano di edilizia popolare che permetta a chi lo desidera di vivere in altre zone, un investimento serio sul lavoro e sulla cultura. Significa smettere di trattare Arghillà come una realtà separata e iniziare a costruire la sua piena integrazione nel tessuto cittadino.

Non lasceremo che questa ennesima operazione propagandistica passi inosservata. Arghillà non ha bisogno di carità o di polizia in assetto di guerra: ha bisogno di diritti, di dignità, di una prospettiva reale. E questa prospettiva non verrà certo da chi lo ha condannato al degrado e ora finge di volerlo salvare.

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