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Arghillà, si sta completando il murales antirazzista realizzato in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale”
Sta prendendo forma il grande murales realizzato dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria, nel quartiere di Arghillà, nell’ambito delle iniziative promosse in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale” che vede l’Ente al fianco di Unar, del Programma Nazionale Inclusione e Lotta alla Povertà 2021-2027, dell’Ue e del Ministero del Lavoro.
L’amministrazione di Palazzo Avaro si è aggiudicata il finanziamento necessario a replicare l’azione di rigenerazione urbana che, lo scorso anno, ha riscosso notevole successo nel quartiere di San Sperato.
Anche ad Arghillà, quindi, la mastodontica opera di street-art sorgerà a ridosso di un campo di calcio voluto dal Comune di Reggio Calabria dopo la bonifica di un’area letteralmente abbandonata e relegata a discarica abusiva.
Frutto del talento dello street-artist Giulio Rosk, selezionato con un avviso pubblico, il murales abbellirà un’importante area del quartiere nord, autentico balcone sullo Stretto, in continuità con il programma “Reggio Cuore del Mediterraneo” scelto per la candidatura della città quale capitale italiana della cultura 2027.
Lo stesso Rosk, durante le fasi di realizzazione, proprio in questi giorni ha tenuto una lezione a tema con le alunne e gli alunni del Liceo Artistico “Mattia Preti”.
Il Murales sarà inaugurato lunedì 31 marzo alle 15.30 sul campetto di Modenelle ad Arghillà nord, proprio di fronte al murales, dove si giocherà una partita della Polisportiva “Arghillà a Colori”, la squadra promossa dal Csi di Reggio Calabria con il presidente Paolo Cicciù.
A dare il calcio d’inizio sarà il campione internazionale Zvonimir Boban.
Il Comune di Villa San Giovanni celebra “Giornata Internazionale Rifiuti Zero”
L’associazione “RifiutiZero – Reggio Calabria” in collaborazione con l’amministrazione comunale di Villa San Giovanni ha individuato un luogo altamente simbolico per rilanciare in ambito locale il messaggio ecologista dell’Onu in occasione della “Giornata Internazionale Rifiuti Zero” che ogni anno si celebra il 30 marzo: l’antica Filanda Cogliandro a Cannitello è il luogo scelto per sensibilizzare la comunità.
Il mondo genera ogni anno tra i 2,1 e i 2,3 miliardi di tonnellate di rifiuti solidi urbani, dai tessuti agli imballaggi, dall’elettronica alla plastica e agli alimenti. Ma i sistemi di gestione dei rifiuti faticano a tenere il passo.
Così scrive l’agenzia Onu “UN-Habitat” che promuove come ogni anno nella data del 30 marzo
Per la prima volta, tale ricorrenza si concentra su un settore specifico: quello dei rifiuti tessili e della moda. L’attuale modello lineare di sovrapproduzione e consumo dell’industria della moda ha impatti ambientali e sociali significativi: Ogni anno vengono generati oltre 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, pari a un camion della spazzatura pieno di abiti inceneriti o gettati in discarica ogni secondo.
La produzione di abbigliamento è raddoppiata dal 2000 al 2015, mentre la durata di utilizzo degli indumenti è diminuita del 36%. L’uso di fibre sintetiche basate su combustibili fossili contribuisce all’inquinamento da microplastica, danneggiando gli ecosistemi e la salute umana.
Per arrivare a zero rifiuti nella moda e nel tessile, è necessario un cambiamento sistemico, che comprenda la riduzione della sovrapproduzione, l’approvvigionamento responsabile e l’adozione di una produzione etica.
Torniamo a Cannitello: la struttura risalente all’inizio del ‘800 – e prossima a riaprire i battenti come Museo “Filanda Cogliandro” – non è solo la testimonianza del passato industriale di Villa San Giovanni, conosciuta come la “piccola Manchester” per l’elevato numero di filande attive ma è anche un riferimento culturale attuale e paradossalmente innovativo che sintetizza tutti quei valori propugnati dall’Onu: bassissimo impatto ambientale dell’intera filiera produttiva, alta qualità dei tessuti prodotti, socializzazione delle ricadute economiche.
Come ricorda l’architetto Benedetta Genovese Cogliandro, infatti, “il mare antistante Cannitello dove arrivavano i residui di lavorazione della seta era diventato nel tempo pescosissimo proprio grazie agli elementi naturali che vi confluivano al termine del processo di lavorazione e che rappresentavano un nutriente molto gradito dalla fauna ittica”. Un esempio… naturale di economia circolare e di corretta simbiosi fra uomo, natura ed economia.
Da questa somma di considerazioni è nata l’idea di proiettare sulla facciata dell’edificio lo slogan ufficiale della manifestazione: “Toward Zero Waste in Fashion and Texiles” (“Verso Rifiuti Zero nella moda e nel tessile”) come invito a un modello di sviluppo ecosostenibile.
Da evidenziare che per generare l’immagine è stato utilizzato un proiettore ad alta efficienza che coniuga bassi consumi energetici e tecniche costruttive innovative che ne garantiscono lunga durata di funzionamento sia della fonte Led che delle altre componenti strutturali.
“L’associazione Zero Waste Italy – spiega l’assessore ai servizi Ruggero Marra- ha chiesto ad amministrazioni comunali, imprese, società civile, mondo accademico e cittadini di mobilitarsi ed organizzare eventi di sensibilizzazione, come comunicato dall’ONU dal 1° marzo al 5 aprile 2025. La Città lo ha fatto coniugando la sensibilizzazione all’iniziativa con l’identità storico-culturale del territorio, nella consapevolezza che ogni comunità deve cominciare a salvaguardare il suo ambiente in maniera concreta, generosa, propositiva!”.
Reggio, la Maggioranza sulla condanna di Ripepi: Chiarisca, ma non può più guidare la Commissione Controllo e Garanzia”
“La Legge Severino – prosegue la nota dei Consiglieri – che ha ingiustamente prodotto la sospensione del sindaco Falcomatà per ben due anni, oltre che di tanti valenti assessori e consiglieri, privando la città della propria guida democraticamente eletta, in questo caso non produrrà alcun effetto. Nonostante ciò, responsabilmente, da istituzioni e da esponenti di una maggioranza politica geneticamente garantista, non chiederemo le dimissioni di Ripepi da Consigliere comunale, come lui ed i suoi colleghi di opposizione hanno fatto in altri casi che hanno riguardato il consiglio comunale reggino”.
“Ma è chiaro che un soggetto condannato per gravi reati in un processo che riguarda perfino un episodio di pedofilia, tra l’altro già destinatario in passato di un’altra condanna in primo grado per altro tipo di reato, altrettanto grave, non può continuare a guidare un organismo consiliare che si occupa di verificare il rispetto della legalità all’interno del civico consesso e dell’amministrazione della cosa pubblica. In attesa di chiarire la propria posizione nelle successive fasi processuali, è quello che gli auguriamo, Ripepi deve quindi presentare le proprie dimissioni, con effetto immediato, da presidente della Commissione Controllo e Garanzia. Un organismo che, per definizione, non può essere guidato da un condannato in primo grado. Un consigliere sul quale pende una condanna di questo tipo non può rappresentare alcuna garanzia, né tantomeno un controllo, sugli atti della pubblica amministrazione, né sul corretto svolgimento delle dinamiche di governo della cosa pubblica”, attaccano i Consiglieri.
“Se ciò non dovesse accadere, la maggioranza annuncia già da adesso la propria indisponibilità a partecipare alle riunioni di una Commissione che, alla luce dei gravi fatti emersi dal processo e delle pesanti accuse sentenziate nei confronti di Ripepi, risulta del tutto delegittimata e con una credibilità ormai pari a zero”, concludono i Consiglieri di Maggioranza.
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“Non possiamo più permetterci di costruire risposte sanitarie su modelli superati, su schemi che appartengono a un tempo che non esiste più. Dobbiamo partire dai bisogni reali delle persone, soprattutto dei giovani, e avere il coraggio di ripensare l’intero impianto della salute mentale alla luce dei cambiamenti profondi che attraversano la nostra società.”
È il messaggio forte e chiaro lanciato dalla consigliera regionale Amalia Bruni, intervenuta nel corso del laboratorio di idee sulla salute mentale, tenutosi oggi a Reggio Calabria, con la partecipazione di esperti, operatori e rappresentanti delle istituzioni e del Terzo Settore.
Bruni, da sempre impegnata sul fronte delle politiche sanitarie, ha denunciato con chiarezza le carenze strutturali che penalizzano il sistema calabrese, a partire dalla carenza di personale nei servizi psichiatrici territoriali, fino alla mancanza di una rete realmente integrata tra sanitario e sociale. “Non basta garantire l’accesso alle cure – ha dichiarato –. Dobbiamo garantire la qualità dell’ascolto, la presa in carico globale, la continuità assistenziale. Questo vale per tutti, ma diventa drammaticamente urgente se pensiamo alla salute mentale dei giovani, oggi in sofferenza profonda, spesso invisibile, troppo spesso ignorata”.
I dati, ha spiegato, parlano chiaro: aumentano i disturbi mentali in età adolescenziale, aumentano i segnali di disagio, ma i servizi restano fermi, rigidi, poco permeabili alle nuove esigenze. “I giovani ci chiedono un’alleanza vera, non risposte standardizzate. Ecco perché serve un nuovo patto tra istituzioni, famiglie, scuola e territorio”.
Un passaggio importante del suo intervento ha riguardato la ricerca, non solo come chiave per comprendere meglio le patologie e migliorare le terapie, ma anche come strumento per progettare e sperimentare nuovi modelli sanitari. “La ricerca, se sostenuta e integrata nella programmazione sanitaria, può aiutarci a costruire modelli innovativi di cura, più vicini alla persona, più flessibili e sostenibili. Le sperimentazioni sanitarie non devono essere un’eccezione: devono diventare una leva per il cambiamento strutturale del nostro sistema regionale.”
In questo senso, la consigliera ha lanciato anche una riflessione sulla necessità di investire nella formazione degli operatori, non solo in termini tecnici ma soprattutto umani, relazionali, comunicativi. “Serve una cultura nuova della cura, che metta al centro la persona e la sua storia, e non solo la diagnosi.”
Tra i punti critici affrontati, anche quello della doppia diagnosi, ovvero la coesistenza di disturbo psichico e dipendenza: un ambito ancora troppo marginale nelle politiche pubbliche, ma che riguarda una fascia altamente vulnerabile della popolazione, spesso esclusa dai percorsi tradizionali. “È un fronte che va affrontato con coraggio e innovazione, costruendo percorsi personalizzati, multidisciplinari, davvero capaci di includere.”
Infine, Bruni ha posto l’accento sulla necessità di combattere lo stigma sociale legato alla malattia mentale: “La salute mentale riguarda tutti. Parlare di disagio, di ansia, di depressione, non deve essere un tabù. Dobbiamo portare questi temi fuori dalle stanze chiuse e renderli parte di un dibattito pubblico serio, responsabile, generativo.”
“Voglio continuare a portare queste battaglie dentro le istituzioni – ha concluso – perché solo cambiando il modo in cui progettiamo i servizi, e il modo in cui ascoltiamo le persone, potremo davvero costruire un welfare generativo, non più riparativo. Un welfare che non arriva tardi, ma che accompagna, previene, sostiene. Un welfare che aiuta a vivere.”
Reggio: Sinistra Italiana si oppone alla chiusura del Consultorio Familiare “San Marco”
La chiusura del Consultorio Familiare San Marco di Reggio Calabria è l’ennesimo colpo inferto alla sanità pubblica territoriale e, in particolare, ai servizi dedicati alla salute delle donne, delle famiglie e delle nuove generazioni. Questo presidio, che da anni offre supporto ginecologico, ostetrico, psicologico e sociale, rischia di scomparire senza che sia stata pianificata una reale alternativa altrettanto efficace e accessibile.
I consultori familiari non sono semplici ambulatori: sono strutture nate con una precisa funzione sociale e sanitaria, garantendo servizi gratuiti e accessibili a tutti, indipendentemente dalla condizione economica o sociale. Nei consultori si affrontano temi fondamentali come la salute riproduttiva, la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, la tutela della maternità, il sostegno alla genitorialità e la violenza di genere. Sono punti di riferimento essenziali, in particolare per giovani, donne e persone in condizioni di vulnerabilità.
Tuttavia, in Calabria queste strutture sono state progressivamente svuotate e ridimensionate. Secondo i dati UIL, nella regione sono attivi solo 62 consultori su 93 previsti per legge, mentre nella provincia di Reggio Calabria, a fronte di una popolazione che avrebbe bisogno di un servizio capillare ed efficiente, ne restano operativi appena 20. Inoltre, la carenza di personale specializzato, tra cui ginecologi, psicologi e assistenti sociali, rende molti di questi consultori poco più che strutture fantasma, incapaci di rispondere alle necessità reali dei cittadini.
Sostituire un consultorio con una Casa di Comunità non è una soluzione, ma un problema. Le Case di Comunità, previste dal PNRR, hanno un ruolo diverso: si occupano di assistenza sanitaria di base e di presa in carico dei pazienti cronici, ma non garantiscono in modo strutturato e specialistico le funzioni dei consultori. Se i consultori scompaiono, i servizi per la salute sessuale e riproduttiva, la tutela delle donne e il supporto alla maternità rischiano di essere marginalizzati o del tutto cancellati.
Questa ennesima scelta miope della politica sanitaria calabrese si inserisce in un contesto più ampio di smantellamento progressivo della sanità pubblica, che vede la nostra regione agli ultimi posti nelle classifiche nazionali per qualità ed efficienza del servizio sanitario. La chiusura o il depotenziamento dei consultori colpisce le fasce più fragili della popolazione, aumentando il divario tra chi può permettersi cure private e chi è costretto a rinunciare all’assistenza.
Crediamo in un modello di welfare pubblico, universale e accessibile. Non possiamo accettare che un servizio fondamentale venga sacrificato per meri calcoli di bilancio o per una gestione inefficiente delle risorse. Chiediamo alla Regione Calabria e all’Azienda Sanitaria di garantire il potenziamento, e non la chiusura dei consultori, attraverso:
• Il mantenimento e il rafforzamento delle strutture esistenti, con personale qualificato e risorse adeguate.
• Un piano di assunzioni straordinarie per ginecologi, ostetriche, psicologi e assistenti sociali, oggi carenti o assenti in molti consultori.
• La garanzia che i servizi consultoriali non vengano assorbiti in altre strutture che non possono offrire la stessa specificità e attenzione ai bisogni delle persone.
La chiusura dei consultori è un attacco diretto alla salute pubblica e ai diritti delle donne. La sanità pubblica va difesa, e con essa il diritto di ogni cittadino a ricevere assistenza e cure adeguate e gratuite, senza discriminazioni e senza barriere economiche.
A partire da lunedì 31 marzo, riaprirà la piattaforma informatica per la presentazione delle istanze finalizzate alla concessione di incentivi a sostegno e per lo sviluppo dell’artigianato calabrese.
Confartigianato Imprese Calabria esprime apprezzamento per la riattivazione del Fondo a favore delle imprese artigiane, resa possibile grazie alle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione, nell’ambito dell’Accordo per la Coesione.
Una parte delle risorse disponibili sarà utilizzata per soddisfare le domande già presentate e rimaste inevase per esaurimento fondi, mentre un’altra parte sarà destinata a nuove iniziative imprenditoriali.
La misura, fortemente sostenuta da Confartigianato e dalle associazioni di categoria, prevede: contributi in conto interessi, per tutta la durata del finanziamento bancario; rimborso parziale del costo della garanzia rilasciata dai Confidi; contributi in conto capitale fino al 65% delle spese ammissibili.
Gli interventi finanziabili includono: ammodernamento, ristrutturazione e ampliamento dei locali aziendali; innovazione di prodotto e di processo; introduzione o potenziamento di servizi, anche attraverso tecnologie digitali; interventi per la sostenibilità ambientale.
“Auspichiamo che la Regione Calabria – dichiara Confartigianato Imprese Calabria – possa individuare ulteriori risorse per rispondere alle numerose richieste delle aziende ed evitare la chiusura dello strumento, molto apprezzato dalle imprese artigiane per accompagnarle con semplicità verso una crescita più competitiva, innovativa e sostenibile.”
Confartigianato sottolinea, inoltre, la necessità di procedere con celerità all’erogazione dei contributi alle aziende già ammesse da tempo, in un momento segnato da pesanti difficoltà legate all’aumento dei costi energetici, delle materie prime e dall’inflazione.
“Si tratta di un sostegno fondamentale soprattutto in questo momento per un comparto che rappresenta una componente strategica dell’economia calabrese e che, nonostante tutto, continua a investire, produrre e creare occupazione”, conclude la nota.
Montebello Jonico: un morto e un ferito in un tragico incidente sulla SS106
Un nuovo tragico incidente si è verificato sulla SS106. Il sinistro ha causato un morto ed un ferito ed è avvenuto intorno alle 8:00 di stamattina, a Montebello Jonico. La vittima si chiamava Giuseppe Foti ed aveva 70 anni,
Il sinistro si è verificato a causa dello scontro due autovetture, le cui cause sono in corso di accertamento, ma che non ha lasciato speranze a Giuseppe Foti che è morto sul colpo.
Sul luogo dell’incidente mortale sono giunti per primi alcuni Vigili del fuoco in transito sulla SS 106 di Montebello, supportati in seguito dai colleghi di Melito Porto Salvo che hanno prestato i primi soccorsi e, dopo aver estratto dalla vettura il ferito, hanno proceduto alla mesa in sicurezza degli altri veicoli.
I Vigili del fuoco e Forze dell’ordine aspettano i rilievi di rito e l’autorizzazione del magistrato.
L’Organizzazione “Basta Vittime sulla SS106”: “Giuseppe, un altro nome da non domenticare”
“Un’altra esistenza spezzata. Un’altra famiglia distrutta. Un’altra tragedia che si aggiunge a una lunga lista di vite spezzate su questa maledetta strada”. queste le parole dell’Organizzazione di volontariato “Basta Vittime Sulla Strada Statale 106”, espresse su un post, pubblicato sui social, nel quale si stringe al dolore della famiglia della vittima per il “peso di una perdita inaccettabile”.
Riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa congiunto di soddisfazione del “Comitato Free Marjan Jamali” e del “Comitato OLTRE I CONFINI: Scafiste tutte”, in seguito alla decisione del Tribunale di Reggio che, ieri sera, in attesa della conclusione del processo prevista per il 28 maggio, ha stabilito la liberazione dalle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per Marjan Jamali e Amir Babai, dopo una carcerazione preventiva durata più di 17 mesi.
“Eravamo tornate ieri in presidio per reclamare a gran voce, davanti al Tribunale del riesame di Reggio Calabria, la liberazione dalle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per Marjan Jamali e Amir Babai, sottoposti per altro a carcerazione preventiva da più di 17 mesi.
E lo facevamo con rabbia, dopo aver appreso che il Collegio giudicante del Tribunale di Locri aveva di nuovo ed inspiegabilmente rigettato la richiesta di modifica della misura cautelare.
Oggi, dopo la decisione del Tribunale del riesame di Reggio Calabria, che ieri sera ha finalmente liberato Marjan da ogni inutile misura vessatoria, gioiamo per lei, ma sentiamo la necessità di ribadire con fermezza il nostro sdegno verso quel muro di leggi che lo stato italiano ha alzato per trovare un capro espiatorio proprio tra chi in realtà fugge per ottenere protezione e salvezza.
Sdegno che viene esacerbato dal pensiero della terribile oppressione, aggravata dall’ignavia di qualche magistrato, prodotta da impianti accusatori spesso avviati con improvvisazione e sempre portati avanti con processi inquisitori e con una abnorme durata della carcerazione preventiva.
Marjan Jamali cercava solo protezione per sé stessa e per il figlio di 8 anni, quando nell’ottobre 2023 sono arrivati sulle sponde di un mare non più (o forse mai) culla di civiltà, ma tomba per le speranze di chi sogna una vita migliore. Nell’udienza dello scorso 24 marzo, presso il Tribunale penale di Locri, lei ha reso, con tanta fierezza e sincerità, una testimonianza forte e chiara, ripercorrendo i motivi che l’hanno spinta a lasciare il teocratico Iran, nel quale era esposta ai pericoli di un ex marito violento, a cui per la legge misogina iraniana spettava l’affidamento esclusivo del figlio al compimento dei suoi 8 anni. Ha raccontato e dimostrato di aver pagato 14 mila euro ai veri trafficanti (9mila per sé e 5mila per il figlio), è entrata nei dettagli di quel lungo viaggio in cui ha subito un tentativo di stupro da quelle stesse persone che – per vendetta – l’hanno poi accusata di essere parte dell’equipaggio e che poi si sono resi irreperibili.
Le accuse a Jamali si basano sulle dichiarazioni di questi soli tre passeggeri – su ben 102! – che appena sbarcati hanno sostenuto che la donna aveva il ruolo di raccogliere i cellulari prima della partenza.
Sulla base di quelle sole testimonianze, per altro raccolte senza ulteriori approfondimenti, riferite dalle stesse persone che le avevano promesso ritorsioni, per la procura avrebbe svolto “mansioni meramente esecutive e di collaborazione nell’operazione coordinata da trafficanti attivi sul territorio turco”.
Ma l’uomo che ha materialmente condotto la barca, l’egiziano Faruk, chiamato in qualità di testimone dopo aver già patteggiato la pena, ha dichiarato in udienza, come già avevano fatto altri testi, che Marjan e Amir erano migranti come tutti gli altri e non c’entravano niente con l’organizzazione.
Come se non bastasse, appena arrivata Marjan è stata separata dal figlio e arrestata senza che le venissero date comprensibili spiegazioni. Quel figlio tanto amato che ha poi potuto riabbracciare solo a distanza di 7 mesi, durante i quali è stata reclusa nel carcere di Reggio Calabria. Adesso Marjan si trovava ai domiciliari e con l’obbligo di indossare il braccialetto elettronico, misure oppressive di cui da mesi abbiamo invocato la revoca, ieri per fortuna decisa dal Riesame, in attesa della conclusione del processo prevista per il 28 maggio.
Altrettanto inspiegabile è la vicenda di Amir Babai, un uomo resosi doppiamente “colpevole”: sia di scappare da un regime oppressivo per costruirsi una vita migliore e sia di aver difeso Marjan, sulla barca, dal tentativo di violenza che stavano mettendo in atto proprio coloro che poi hanno accusato anche lui di essere uno scafista. Sono ormai più di 500 giorni che Babai sta scontando, recluso in carcere, una ingiusta, afflittiva ed ingiustificata misura cautelare di cui, anche alla luce della decisione di ieri, invochiamo l’immediata revoca.”, scrivono “Comitato Free Marjan Jamali” e “Comitato OLTRE I CONFINI: Scafiste tutte”.
