La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza emessa lo scorso giugno dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria nel processo sull’omicidio di Francesco Bagalà, avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 2012 a Gioia Tauro. È diventata definitiva, quindi, l’assoluzione di Giuseppe Brandimarte, di 52 anni, e Davide Gentile, di 34, che in primo grado erano stati condannati all’ergastolo. La Prima sezione della Suprema Corte ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla Procura generale accogliendo la tesi dei difensori degli imputati, gli avvocati Giuseppe Fonte e Dario Vannetiello per Brandimarte e Salvatore Staiano e Nico D’Ascola per Gentile. Secondo l’accusa, il movente dell’omicidio di Bagalà sarebbe stato da collegare ad una vendetta per il tentato omicidio dello stesso Giuseppe Brandimarte, che era avvenuto nel 2011. Tesi che i difensori, nel processo d’appello, avevano definito destituita di fondamento. “Così – è scritto in una nota stampa dell’avvocato Vannetiello – si conclude un processo complesso nel quale sono state polverizzate le dichiarazioni accusatorie provenienti da una pluralità di collaboratori di giustizia, quali Femia, Furfaro, Ieranò e Cortese”. (ANSA).
corte di cassazione
La Corte di cassazione ha annullato il decreto di confisca dei beni del ristoratore Antonio Raso, coinvolto nel processo Geenna sulla ‘ndrangheta in Valle d’Aosta, rinviando alla Corte d’appello di Torino per un nuovo giudizio. La confisca, che era stata disposta il 12 aprile 2021 dalla sezione misure di prevenzione del tribunale ordinario di Torino, riguardava le quote appartenenti a Raso della società che gestisce il ristorante La Rotonda di Aosta, un appartamento, un’autorimessa, due autovetture, tre conti corrente (dei quali uno al 50%) e il saldo attivo di due carte prepagate. In quel decreto i magistrati ritenevano “definitivamente accertata una sproporzione ingiustificata tra i beni per i quali si propone il sequestro e i redditi dichiarati ovvero l’attività economica” di Raso “e del suo nucleo familiare”. La Dia aveva già sequestrato i beni nel dicembre 2019. Per l’eventuale revoca della misura di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza che lo stesso decreto aveva disposto per quattro anni occorrerà invece attendere il giudizio di merito. Antonio Raso – difeso dagli avvocati Ascanio Donadio, Pasquale Siciliano con il professor Enrico Grosso – era stato scarcerato su ordine della Corte d’appello di Torino il 31 marzo scorso, dopo oltre quattro anni di custodia cautelare. Con lui erano tornati in libertà anche gli altri tre imputati nel processo Geenna con rito ordinario: l’ex consigliere comunale di Aosta Nicola Prettico, l’ex dipendente del Casinò di Saint-Vincent Alessandro Giachino (che si trovavano in carcere) e l’ex assessora comunale di Saint-Pierre Monica Carcera (che era ai domiciliari). Per loro quattro la Cassazione il 24 gennaio scorso aveva disposto l’annullamento con rinvio della sentenza di condanna emessa dalla Corte d’appello di Torino il 19 luglio 2021. (ANSA).
Operazione Propaggine: La Cassazione annulla per Alfredo e Ferdinando Ascrizzi
La Cassazione ha annullato, con rinvio, il provvedimento con cui il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, aveva confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere applicata dal Giudice per le Indagini Preliminari del capoluogo reggino, Angela Mennella, nei confronti di Alfredo Ascrizzi, nell’ambito dell’operazione “Timoteo-Propaggine”.
Ad Alfredo Ascrizzi, difeso dagli avvocati Antonino Napoli e Luca Cianferoni, è contestata la partecipazione all’associazione a delinquere denominata ‘ndrangheta, in qualità di affiliato alla “cosca Alvaro”, attiva nei comuni di Sinopoli, San Procopio, Cosoleto, Santa Eufemia d’Aspromonte, Delianuova e zone limitrofe.
Lo scorso 24 gennaio, la Suprema Corte si è pronunciata sui ricorsi proposti dagli avvocati Napoli e Cianferoni accogliendone le argomentazioni.
Nella stessa udienza i giudici di legittimità si sono altresì occupati della posizione del padre di Alfredo Ascrizzi, Ferdinando Ascrizzi (difeso dagli avvocati Antonino Napoli e Angelo Fortunato Schiava) nei riguardi del quale, nel corso della predetta indagine, è, parimenti, stata, disposta la misura carceraria.
Ferdinando Ascrizzi è accusato oltre che di associazione a delinquere di stampo mafioso, quale appartenente alla consorteria di Sinopoli, vicino alla famiglia dei Carzo operante nella capitale, pure di accordo elettorale politico-mafioso, in vista delle consultazioni amministrative di Cosoleto per l’anno 2018; reato contestato al capo b) delle imputazioni contestate dalla Procura di Reggio Calabria.
In questo caso gli Ermellini accogliendo i rilievi mossi dagli avvocati Napoli e Schiava, hanno annullato il predetto pronunciamento del giudice del riesame limitatamente all’accordo politico mafioso.
La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza di custodia cautelare emessa lo scorso maggio dal gip Angela Mennella nei confronti dell’ex sindaco di Cosoleto Antonino Gioffré, accusato dalla Dda di Reggio Calabria di scambio elettorale politico-mafioso. A dare la notizia, con un comunicato stampa, sono gli avvocati Fortunato Schiava e Carlo Morace che esprimono la loro “soddisfazione per la decisione della sesta sezione della Suprema Corte”. L’ex sindaco Gioffré era stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta “Propaggine” condotta contro la cosca Alvaro-Penna che ha portato, a novembre, allo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. A Cosoleto, infatti, secondo i magistrati “le elezioni amministrative del giugno 2018 sono state pesantemente condizionate dalla cosca Alvaro in accordo con il sindaco uscente Antonino Gioffrè, poi nuovamente candidato ed eletto”. L’impianto accusatorio è stato contestato dagli avvocati Schiava e Morace secondo cui “la decisione della Cassazione rimette in discussione la gravità indiziaria e la configurabilità del reato ascritto a Gioffrè, temi sui quali il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria dovrà nuovamente pronunciarsi alla luce delle censure della Suprema Corte e dei rilievi difensivi”. In attesa della nuova decisione della Riesame, l’ex sindaco resterà agli arresti domiciliari. (ANSA).
Restano al regime carcerario del al 41bis due dei maggiori presunti boss del clan di ‘ndrangheta Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia. La Corte di Cassazione, infatti, ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dai legali di Paolino Lo Bianco, figlio del defunto capostipite Carmelo (alias “Piccinni”) e Vincenzo Barba, detto “il musichiere”, avverso la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma di ritenere valido per i due detenuti il regime di detenzione speciale previsto per i soggetti ritenuti particolarmente pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica. Lo Bianco e Barba sono imputati per associazione mafiosa ed estorsioni nel maxiprocesso “Rinascita-Scott” e sono già stati condannati in primo grado nell’inchiesta “Imponimento”.
Per il primo, la Suprema Corte ha rilevato la corretta interpretazione del Tribunale della sorveglianza secondo la quale le restrizioni in esame erano “pienamente giustificate e funzionali rispetto alle finalità di salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, sussistendo ragionevolmente il pericolo attuale di una ripresa di contatti e di interazioni da parte del detenuto con esponenti dell’organizzazione di appartenenza e della possibilità che Lo Bianco, dalla condizione di detenzione, attraverso le maglie di comunicazione inframuraria ed esterna tipicamente consentite dal regime ordinario di detenzione, possa impartire direttive criminali per ispirare, guidare, governare attività criminose o in ogni modo determinare la commissione di reati”. Il Tribunale evidenziava, inoltre, che le malattie di cui è affetto il detenuto “non si trovano in fase acuta e avanzata, tali da provocare l’interruzione della pregressa antisocialità del soggetto ovvero che incidano sulla capacità e sulla lucidità di mantenere i contatti con l’organizzazione criminale di riferimento”.
Il ricorso di Lo Bianco è stato rigettato per inammissibilità in quanto giudicato generico circa “i motivi addotti, trattandosi di riproposizione di temi vagliati in modo adeguato e senza alcun vizio in diritto nella decisione impugnata”. Anche per Barba stesse motivazioni sia sul piano del pericolo di ripresa dei contatti che sul quadro clinico. Pure nei confronti di Barba il ricorso è stato dichiarato inammissibile “per la genericità dei motivi addotti, trattandosi di riproposizione di temi vagliati in modo adeguato e senza alcun vizio in diritto nella decisione impugnata”. (ANSA).
La Corte di Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo per Salvatore Gerace, di 60 anni, per l’omicidio del 18enne Giuseppe Parretta avvenuto il 13 gennaio 2018 a Crotone. La Cassazione ha rigettato totalmente il ricorso di Gerace contro la condanna alla prigione a vita che gli era stata inflitta nei primi due gradi di giudizio. Diventa così definitiva la sentenza per un fatto di sangue che sconvolse la città di Crotone. Come è stato ricostruito nel corso del processo, Gerace, già noto alle forze dell’ordine, era ossessionato dall’idea che Giuseppe Parretta lo spiasse per riferire poi a fantomatici individui che avrebbero voluto assassinarlo. Per questo il 13 gennaio del 2018, dopo aver visto dalla sua abitazione arrivare il giovane alla guida di una moto, pensando che il mezzo fosse stato acquistato con i soldi che Giuseppe aveva ricevuto per averlo spiato, Gerace è entrato nella sede dell’associazione Libere Donne presieduta da Caterina Villirillo, madre del ragazzo, ed ha sparato contro Giuseppe prima ferendolo e poi finendolo con un colpo al cuore da distanza ravvicinata.
La Cassazione ha rigettato il ricorso di Gerace che puntava ad annullare l’aggravante della premeditazione che, invece, era stata riconosciuta in primo grado dalla Corte d’Assise di Catanzaro secondo la quale l’omicidio volontario con premeditazione era “chiaramente desumibile” dai mezzi usati (revolver), dal numero di colpi sparati verso zone vitali, dalla loro esplosione in rapida successione puntando a ferire la vittima, unico maschio in casa, per ridurre le sue possibilità di reazione e dalla dinamica del colpo di grazia. Soddisfazione per l’esito del processo è stata espressa dall’avvocato Emanuele Procopio che rappresentava la famiglia di Giuseppe come parte civile: “Siamo soddisfatti che il lavoro che abbiamo fatto abbia permesso di ottenere la condanna all’ergastolo per tre gradi di giudizio. Sicuramente non possiamo essere contenti perché questa tragedia ha portato via ad una famiglia un ragazzo di 18 anni”. (ANSA).
“Un segnale forte di giustizia e di legalità”. Così il sindaco di Crotone, Vincenzo Voce, commenta la sentenza della Cassazione che ha confermato l’ergastolo per il responsabile del delitto di Giuseppe Parretta. “Una sentenza – prosegue – che sicuramente non lenisce il dolore di una madre, di una famiglia, di una intera comunità. Nonostante gli anni che sono passati il ricordo di Giuseppe è sempre vivo nei cuori dei crotonesi attraverso l’impegno della mamma e della famiglia, degli amici, di tutti coloro che lo hanno conosciuto e voluto bene, ai quali rinnoviamo la vicinanza di tutta la comunità cittadina”. L’amministrazione era parte civile nel processo con il patrocinio dell’avvocato Mario Nigro, e la sentenza della Cassazione ha portato anche al rigetto del ricorso difensivo nei confronti dell’Ente con la condanna al pagamento delle spese legali da parte dell’imputato. “Non conta tanto questa ulteriore sentenza – conclude Voce – quanto il fatto che ritenevamo doveroso essere accanto ad una madre che ha visto uccidere sotto i suoi occhi il proprio figlio“. (ANSA).
È definitiva la condanna a 22 anni e 8 mesi di carcere per il boss Domenico Crea. Lo ha deciso la Corte di Cassazione che, nei giorni scorsi, ha rigettato il ricorso degli avvocati Francesco Albanese e Pasquale Loiacono confermando la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria che l’anno scorso aveva condannato il boss per associazione a delinquere di stampo mafioso e per estorsione ai danni dell’imprenditore Nino De Masi, il testimone di giustizia che da anni vive sotto scorta. La sua azienda è presidiata dall’Esercito. De Masi si è costituito parte civile nel processo contro Domenico Crea, figlio del boss di Rizziconi Teodoro Crea detto “Toro” e fratello di Giuseppe Crea, già condannati in via definitiva per lo stesso reato. (ANSA).
Processo Gotha: la Corte di Cassazione annulla le 9 condanne stabilite nei primi due gradi
Clamorosa marcia indietro sul maxi procedimento della DDA di Reggio Calabria che, riunendo le inchieste “Mamma Santissima”, “Reghion“, “Fata Morgana” e “Sistema Reggio“, mirava a fare chiarezza su un presunto organo direttivo ‘ndranghetista che cercava di alterare “l’equilibrio degli organi costituzionali”.
La Corte di Cassazione, chiamata ad esprimersi per scelta di rito abbreviato, smentisce i provvedimenti e annulla le nove condanne stabilite da Tribunale e Corte d’Appello di Reggio Calabria nei primi due gradi del processo “Gotha“, e in particolare quella di 15 anni e 4 mesi di reclusione per l’avvocato Giorgio De Stefano, accusato dalla DDA di Reggio Calabria di far parte della componente “segreta o riservata” della ‘ndrangheta, nonché di essere a capo della cosca De Stefano di Archi.
La decisione, di fatto attuata dalla sentenza del 10 marzo scorso, riguarda tutti i fatti in cui G.D. è coinvolto, accaduti fino al 2005. Gli avvenimenti successivi, invece, sempre per disposizione della Cassazione, saranno oggetto di nuovo processo di secondo grado della Corte d’Appello cittadina in quanto non sarebbe possibile considerare l’imputato “colpevole anche per il periodo successivo al 2005 sulla base di condotte che si assumono rivelatrici della sua appartenenza alla componente segreta e che, tuttavia, essendo collocate nel periodo coperto da giudicato, non possono essere valutate a tale scopo”.
Altro importante passaggio nella decisione della Corte di Cassazione, il giudizio sul rapporto di De Stefano con Paolo Romeo, imputato con rito ordinario e condannato in primo grado a 25 anni di reclusione: i due, secondo l’accusa, erano i due “soggetti “cerniera” in grado di interagire tra l’ambito “visibile” e quello “occulto” dell’organizzazione”. Secondo la Cassazione, infatti, la sentenza di secondo grado non fornisce chiarimenti riguardo l’effettivo “contributo arrecato dal De Stefano quale componente della struttura invisibile della ‘ndrangheta unitaria. Per affermare la sussistenza della componente occulta della ‘ndrangheta i giudici di appello si sono basati anche su collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni risalgono ad un periodo anteriore al 2006”.
Inoltre, per la Cassazione sarebbero insussistenti anche le accuse relative alla conversazione tra i due imputati relativa alle elezioni regionali del 2010, dove “non si fa alcun accenno all’utilizzo di metodi mafiosi per influire sul voto o ad un intervento della ‘ndrangheta nella competizione elettorale. Il voler ravvisare in tale conversazione una elaborazione della strategia della ‘ndrangheta unitaria per influire sulla competizione elettorale regionale appare un’evidente forzatura logica”.
Reggio. Rifiutate molte richieste di riduzione tassa rifiuti: i chiarimenti dell’Amministrazione Comunale
“Diversamente – prosegue la nota – è sporadica e rarefatta l’interpretazione della Commissione Tributaria di Reggio Calabria di attribuzione di valenza giuridica alla generica informativa rilasciata dall’ASP sulla questione del disservizio della raccolta dei rifiuti. Effettivamente, la Corte di Cassazione ha statuito che il diritto alla riduzione della tassa presuppone l’accertamento specifico (mirato sul periodo, sulla zona di ubicazione dell’immobile, sulla tipologia dei rifiuti conferiti e, in generale, su ogni altro elemento utile a verificare la ricorrenza in concreto della richiesta riduzione) della effettiva erogazione del servizio di raccolta rifiuti in grave difformità ed il cui onere probatorio grava sul contribuente che invoca la riduzione. Grava pertanto in capo al contribuente l’onere di provare tali disservizi, nonché l’intero periodo in cui gli stessi si sono verificati, ovvero la ricorrenza degli altri requisiti cui la legge subordina l’applicazione della riduzione tariffaria“.
“Quindi – si legge ancora nella nota – è del tutto evidente che gli Uffici dell’Amministrazione comunale di Reggio Calabria appelleranno con motivato convincimento ogni sentenza di accoglimento della richiesta di riduzione della tassa rifiuti dinanzi alla competente Commissione Tributaria Regionale, che già in molteplici analoghi contenziosi in materia di Tares ha accolto i gravami dell’Ente impositore“.